La valle si ribella PARTE 2: IL CORTEO
Parte II - 3 luglio, mattina: Sindaci, bambini, e famiglie colorate
La festa prima della tempesta. Potrei sintetizzare così il bellissimo corteo che ha avviato le contestazioni del 3 giugno all'insegna della partecipazione civile, senza bandiere di partiti che ormai stanno alla larga dai movimenti, e con l'unico "cappello istituzionale" dei sindaci e degli amministratori locali del fronte contrario alla TAV. Un corteo simbolicamente aperto dai bambini, perché alla fine la ragione ultima di chi si oppone alle grandi opere è quella di consegnare a loro un paese meno indebitato sul piano economico e meno devastato sul piano ambientale.
Ma è stata comunque una festa prima di una tempesta, che mi ha ricordato molto da vicino la festa di quel 29 luglio 2001, quando il "corteo dei migranti" ha convinto tutti per poche ore che l'Italia poteva davvero cambiare grazie all'ondata di indignazione popolare che con un decennio di anticipo voleva prevenire quei disastri economici e sociali che oggi stanno pagando i soliti noti.
A Genova si parlava di acqua pubblica, della necessità di tassare le speculazioni finanziarie, di liberare il paese dalla "tassa di guerra" delle costose azioni militari all'estero, ma anche allora la sordità istituzionale e la violenza politica ebbero il sopravvento, e i "public forum" della società civile non furono sufficienti a salvarci dalla follia di "leggi di mercato" sempre più simili alla legge del più forte.
Speriamo che in questo caso occorra meno di un decennio per capire le buone e numerose ragioni che muovono questa gente, ragioni con una forza tale da persuadere e mobilitare bambini che scendono nelle piazze, adulti che si impegnano nei comitati e nella società civile, e ragazzi che a torto o a ragione, ma comunque a decine, sono pronti a mettersi in gioco rischiando la propria incolumità fisica, la propria fedina penale e la propria reputazione per lanciare pietre debolissime sul piano morale e tattico, più forti su quello fisico se e quando raggiungono il bersaglio, ma fortissime sul piano simbolico per tracciare la differenza tra la violenza del potere e quella del contropotere.
Già, il piano simbolico: l'unico spazio di manovra lasciato ai ragazzi senza voce, schiacciati in un angolo e spinti dall'arroganza del potere a credere inutile e velleitaria ogni azione sul piano dialettico, culturale, mediatico, democratico e politico nel senso più alto del termine. Tipo una semplice consultazione referendaria tra gli abitanti della valle sulla questione TAV, ipotesi che "leader di opposizione" come Fassino hanno traghettato dal regno dell'improbabile a quello dell'impossibile.
Mi sveglio di buon'ora con l'arrivo di altre macchine piene di manifestanti, e incontro un gruppo di persone conosciute il giorno prima durante la veglia: percorriamo assieme il pezzo di strada che ci separa da Exilles, luogo di ritrovo per i pullman dei "forestieri".
Una volta arrivati ai piedi del forte di Exilles la visione d'insieme dell'assembramento fornisce già il primo, rilevante dato politico. Di fronte a questi numeri e a questo tipo di partecipazione il problema della Val di Susa non può più essere considerato una bega locale da cortile, ma è una questione nazionale sulla quale sarà obbligato ad esprimersi con chiarezza chiunque voglia chiederci un voto da ora in poi, per farci capire quale modello di sviluppo più meno sostenibile vuole "venderci" quel candidato in cambio del nostro sostegno nelle urne.
(Fine II parte - Continua)
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