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Da clandestini a migranti per mitigare lo scandalo

La visita di papa Francesco a Lampedusa ha spinto i media a correggere il lessico abituale. Bene, benissimo, ma quest'improvvisa conversione suscita sospetti. L'abbandono per un giorno dello stigma alla fine ha la funzione di neutralizzare il gesto di Francesco, che ha voluto avvicinarsi ai reietti delle nostre democrazie. Un gesto che deve invece interrogarci per la sua portata "scandalosa"
10 luglio 2013 - Giuseppe Faso

E’ stato notato, da Raffaella Cosentino, su “Redattore sociale” e su “Parlare civile”
che un piccolo miracolo la visita del papa a Lampedusa l’ha già compiuto. Sulla maggior parte dei giornali, si è abbandonata la locuzione stigmatizzante “clandestino” e si è usato “migranti”.

 

Papa Francesco a Lampedusa

La dovuta ironia di Cosentino impedisce di esultare, anzi. Tanta conversione improvvisa, dopo anni di rifiuti, a volte esagitati, della proposta di evitare il termine “clandestino”, non può che ingenerare sospetti. Non si arriva alle posizioni estreme di Magdi Allam o di Fabrizio Cicchitto, lesti a bacchettare il papa e richiamarlo a un ruolo di comodo e si è ripiegato a qualcosa che assomiglia a una censura.

 

Come i lebbrosi nel medioevo, i “clandestini” di oggi hanno subito una costruzione sociale  e mediatica, perché li trovassimo repellenti prima ancora di chiederci di che cosa si tratta. A ciò è servito anche il notato e generalizzato evitamento della sostituzione sinonimica, nonostante a quella sostituzione  redattori sono inclini quasi quanto le maestre di una volta – come è stato notato da Paolo Nori in una pagina comicissima (la 98) del romanzo “Diavoli”. E abbiamo assistito alla ripetizione ossessiva, anche decine di volte in un articolo, di “clandestino”, senza che un sinonimo ci aiutasse  a immaginare che cosa possa significare questo termine, a parte la demonizzazione, per chi lo scrive.

 

Per via di quella costruzione sociale, quando un altro Francesco, quello di Assisi, si venne a trovare in mezzo ai lebbrosi, non ci poteva essere nulla di più “amarum” per lui, come confessa lui stesso nel bellissimo testamento. Tale amarum si trasforma, improvvisamente, in perfetta letizia, e da lì a poco Francesco esce dal mondo (che non vuol dire che muore: anzi). Ma se i lebbrosi, a metà dell’incontro, avessero smesso di essere tali e fossero diventati “ammalati bisognosi di cura”, sarebbe difficile immaginare il senso della conversione (la parola è in quel testo)  che accade a Francesco d’Assisi: che si tratti di un accadere  cui lui sta in mezzo, lo fa notare lui con un’audacia linguistica.

 

L’altro Francesco, accostatosi a quei reietti chiamati per un ventennio “clandestini”, se li è visti trasformare in innocui “migranti”: il che tende a vanificare lo scandalo del suo gesto, che vorremmo si mantenesse e ci interrogasse.

 

Domani, i “migranti” di Lampedusa torneranno a essere  chiamati “clandestini”: e così si chiamerà anche il profugo eritreo che, superate le violenze che gli vengono opposte e di cui siamo complici,  arriverà finalmente sulla riva del Mediterraneo,  prima ancora che parta.

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