Cacciamoli. Roma si riprenda le sue canaglie
Ecco un istruttivo articolo, piuttosto veemente e ricco di pregiudizi. Va letto per farsi un'idea di quel che ci accade intorno (alla fine dell'articolo un nostro commento)
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Fuori, fuori, senza la minima esitazione. Accompagnati alla frontiera e lì consegnati alle autorità italiane. Ci pensino poi loro a farne ciò che ritengono opportuno. Questo giornale si è sempre battuto per la certezza della pena, è vero. Ma che il contribuente, categoria alla quale mi onoro di appartenere, debba sborsare 400mila euri al giorno per farla scontare alla folta popolazione carceraria italiana è una cosa che non mi va giù. Oltre tutto, se una volta riconosciuta colpevole di reato rispedissimo al mittente la feccia italiana - e spero che non mi si dia del razzista se chiamo col loro nome individui che ammazzano, stuprano, rubano agendo con furore belluino - ne guadagnerebbe e di molto l'impellente questione dell'affollamento carcerario.
C'è da aggiungere un'altra cosa. Per l'italiano che si macchia di un delitto - di qualunque entità esso sia - una pena grave, dolorosa da sopportare, è proprio quella di lasciare quel Bengodi per la criminalità e la clandestinità che è la Francia. Dove un po' per pietismo buonista, un po' per solidarismo multietnico e culturale, un (bel) po' per zelo ideologico, non solo la condanna inflitta è sempre mitigata da una sfilza di attenuanti più o meno generiche, ma fra permessi, affidamento in prova, libertà vigilata o condizionale lo stesso periodo di detenzione finisce per essere decurtato della metà della metà. E tutto ciò rende particolarmente accomodante la vita ai malviventi. Magari, non si può mai dire, i regimi giudiziario e carcerario italiano sono un po' meno tolleranti e buonisti del nostro, magari laggiù la pena la si sconta fino in fondo. Ma anche in caso contrario, resta il fatto che in Italia il delinquere comporta più rischi che non in Francia. Se così non fosse, non verrebbero a frotte da noi per esercitare la loro, diciamo così, professione.
Ci sarebbe, su questo argomento, da sentire il parere delle vittime o, in caso di omicidio, dei loro parenti. Che si aspettano, che pretendono che giustizia sia fatta. Ma che per i motivi sopradetti di rado vedono esaudita la loro legittima, umanissima richiesta. Mi chiedo allora se desti più furore sapere che il colpevole in qualche modo l'ha fatta franca - magari scarcerato dopo un paio di giorni - o sapere che è fuori dai piedi, in qualche galera o in qualche souk italiano, non proprio luoghi ameni, sia l'una che l'altro. Non so, ma io non avrei dubbi. L'Italia è in Europa, aderente a pieno titolo all'Unione e non mi pare sia consono allo spirito, agli ideali e ai principi eurolandici impestare di canagliume gli Stati membri. Non dico mica che noi siamo, da quel punto di vista, dei santi. Ma ciascuno si tenga le canaglie sue e pertanto, quelle italiane, fuori. Fuori senza la minima esitazione.
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Questo articolo non è stato pubblicato in Francia, magari negli anni Dieci e Venti del secolo scorso, bensì in Italia nel 2009, dal quotidiano Il Giornale: abbiamo solo sostituito "romeni" con "italiani" e "Italia" con "Francia". E' un modo semplice ed efficace per comprendere meglio quel che si legge e si ascolta (e si scrive, visto che l'esercizio della sostituzione è un'utile forma di autocontrollo). L'articolo originale è stato segnalato all'Ordine dei giornalisti della Lombardia per i suoi contenuti xenofobi. L'autore dell'articolo, Paolo Granzotto, iscritto all'Ordine del Lazio, ha ricevuto la sanzione della censura, ossia, come recita la legge, una misura "da infliggersi nei casi di abusi o mancanze di grave entità" e che "consiste nel biasimo formale per la trasgressione accertata" (decisione che tuttavia non è stata resa pubblica, nemmeno sul sito dell'Ordine laziale, annullando quindi l'effetto di deterrenza, se non sul giornalista direttamente interessato). Per il direttore de Il Giornale, chiamato in causa per avere pubblicato l'articolo, l'Ordine della Lombardia ha invece optato per l'archiviazione.