Ma la notizia vera è Bossi che incita all'odio
Prendiamo l'ultima uscita del minsitro Umberto Bossi. Ha dato del matto al candidato sindaco di Milano, avvocato Giuliano Pisapia, motivando - a quanto si capisce - simile epiteto con la sua volontà di trasformare Milano in una "zingaropoli". Pisapia, nel suo programma elettorale, prevede programmi di autocostruzione di abitazioni da parte di famiglie rom senza casa, come si è fatto in passato in altre città. Inoltre, lascia intendere il fondatore della Lega Nord, con Pisapia si fermerebbe la politica degli sgomberi dei campi rom seguita dalla giunta Moratti, e quindi Milano diverrebbe la "città degli zingari".
Nel suo intervento Bossi ce l'ha anche con i "clandestini" e le "moschee", indicati come "incompatibili" con Milano, mentre Pisapia vorrebbe favorire i primi e consetire la costruzione della seconda.
L’operazione di Bossi è molto chiara: gioca nella competizione elettorale la carta della xeonofobia e dell’antiziganismo, secondo i canoni dell’estrema destra populista. E tuttavia le sue parole sono gravissime, per i toni razzisti e discriminatori. Che deve fare un giornalista di fronte a simili interventi?
Roberto Natale, presidente Fnsi, fa notare - molto opportunamente - che il discorso di Bossi è un classico caso di “hate speech”, discorso di incitamento all’odio. Nei manuali deontologici, si mettono in guardia i cronisti verso simili interventi politici, che hanno un potente effetto di legittimazione del discorso razzista.
In Italia si tende a sottovalutare il peso degli “hate speech” e interventi come quello del ministro leghista vengono riportati senza troppe precauzioni, con la giustificazione che quando è un ministro a parlare, le sue parole sono una notizia che non può essere taciuta o edulcorata. Vero. Ma ci sono almeno altri due elementi da considerare.
Primo, che è sempre opportuno - comunque - fare un esercizio consigliato da molti manuali di giornalismo interculturale, per capire fino in fondo la portat dell'"hate speech". E’ utile cioè provare a sostituire il soggetto coinvolto nel “discorso dell’odio” con un altro che sia meno sottoposto a stereotipi o giudizi negativi nella mentalità corrente, o rispetto ai quali sono stati compiuti percorsi di consapevolezza etica e culturale.
Nel caso specifico, se sostituiamo ai rom e ai musulmani gli ebrei, ecco che il discorso di Bossi suonerebbe così: Pisapia è matto, vuole Giudaopoli (una Milano degli ebrei) e la costruzione di sinagoghe, incompatibili con una Milano decente. Poiché dopo l’olocausto l’antisemitismo esplicito è considerato inaccettabile nei grandi media europei, ecco che l'intervento di Bossi, se rivolto agli ebrei, farebbe scandalo e sarebbe respinto.
Allora, il discorso precedente su che cosa fa notizia, andrebbe allargato. Dovremmo cominciare a considerare che l’”hate speech” di Bossi è anch’esso una notizia. Un ministro della repubblica incita all’odio contro una popolazione minoritaria già pesatemente vessata e discriminata; vilipende una religione professata da centinaia di milioni di persone; si mette in qualche modo fuori dalla comunità civile e democratica: forse non è una notizia? Forse non si dovrebbe esporre chiaramente ai lettori-ascoltatori-spettatori che di questo si tratta?