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Piccolo diario di guerra

La "zona nera" del partito militare e quella "grigia" dei democratici pro intervento. Il "pacifismo con i se e con i ma" di Luca Sofri. La comoda nozione di "clandestino". In guerra senza discutere: al giornalismo italiano va bene così
29 marzo 2011 - Lorenzo Guadagnucci

29 marzo 2011

La zona nera

Titolo del quotidiano Libero: “Lampedusa in rivolta”, con occhiello classico: “Esasperata dai clandestini”. E nel sommario: “Gli isolani non sopportano più di essere invasi: bisogna intervenire prima che ci scappi il morto”. Il commento di Vittorio Feltri non si discosta dalle trite ovvietà del “partito della xenofobia”, mentre in un titolo di richiamo torna una delle tecniche chiave del giornalismo conformista, ossia l’invenzione del nemico, un avversario di comodo - con posizioni e argomenti immaginari - contro il quale scagliarsi per sostenere le proprie posizioni (solitamente coincidenti con quelle del potere del momento). Il titolo in questione è: “La strategia della lacrima denunciata dalla Fallaci”, con un occhiello che propone un classico della retorica guerriera “Buonisti scatenati”.

E la zona grigia

Con Libero siamo nella zona nera, nel fiancheggiamento totale del potere politico e nel coinvolgimento pieno nel “partito della xenofobia”. Appartengono invece alla “zona grigia”, quella di chi non prende parte, resta in mezzo, anzi si schiera con il pensiero dominante pur provenendo dal fronte opposto, le osservazioni di Luca Sofri nel dialogo mattutino con gli ascoltatori a “Prima pagina” su Radiotre. Sul tema della guerra in Libia, Sofri è categorico: è un intervento (in genere Sofri non usa l’aggettivo militare) di liberazione, per i diritti democratici, eccetera eccetera. I pacifisti, per Sofri, hanno posizioni estremiste, illogiche, non razionali; i veri pacifisti - citazione testuale - sono “quelli con i sì e con i ma” e lui stesso sembra collocarsi in questa categoria. Pare di capire che per Sofri il pacifismo è una corrente del militarismo. Di sicuro, anche in questo caso, siamo all’invenzione di un nemico di comodo: gli argomenti della minoranza contro la guerra in Libia sono illogici e senza senso; le uniche posizioni possibili sono due: la guerra sostenuta dal governo e la guerra sostenuta dai “pacifisti con i se e con i i ma”. Naturalmente il risultato pratico è lo stesso: cioè il sostegno ideologico alla missione militare.

Aiuto, i “clandestini”

Una micro riflessione sul giornalismo italiano si imporrebbe. Abbiamo cominciato la guerra in LIbia senza la minima discussione pubblica; quotidiani e commentatori, nonostante ciò, hanno subito scelto lo schieramento pro guerra, accettando che si possano prendere decisioni così gravi senza dibattito. E subito è partito il fuoco di fila contro i pochi dissidenti. E’ partita - ovviamente - anche la campagna sull’emergenza a Lampedusa. La Lega Nord, che generalmente detta il tono del discorso su questi temi, è pronta a lanciare la distinzione fra “profughi” e “clandestini”: buoni e accettabili, in misura minima, i primi, specie se provenienti dalla Libia; cattivi e da respingere tutti gli altri. Che faranno i media e i commentatori?

Ieri a Radio 24 Gianluca Nicoletti aveva come ospite a “Melog 2.0” Andrea Gaiani, esperto di tecniche militari, il quale indicava questa distinzione come un’ovvietà, spiegando che il governo ha sbagliato: già i primi 2-300 migranti arrivati a Lampedusa, andavano respinti, per dare il buon esempio. La categoria del “clandestino” si è rivelata preziosa e potrebbe tenere banco nelle settimane a venire. La dimensione dei diritti civili e sociali, in questo caso, non conta, forse vale solo quando si parla degli oppositori al dittatore Gheddafi. Il quale Gheddafi, peraltro, solo da poche settimane, è definito - appunto - dittatore; finora i media preferivano la locuzione “leader libico”.

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