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"Parole sporche", i media devono cambiare

Il libro di Lorenzo Guadagnucci, appena pubblicato dall'editore Altreconomia, racconta la campagna di Giornalisti contro il razzismo, analizza i meccanismi che conducono a un'informazione xenofoba e propone alcune via d'intervento, come il consumo critico dell'informazione
18 novembre 2010

Due anni dopo l'avvio della campagna di Giornalisti contro il razzismo, ecco un libro che ne racconta le radici e prova a scavare nelle cause che rendono i grandi media complici degli "imprenditori politici della xenofobia e del razzismo". L'autore è Lorenzo Guadagnucci, uno dei promotori della campagna.

"Parole sporche" (editore Altreconomia) analizza il comportamento dei maggiori media nell'informazione sull'immigrazione, le minoranze, la cosiddetta emergenza sicurezza e ne denuncia le responsabilità  nel diffondere stereotipi negativi e visioni fuorvianti, se non manipolatorie, di fenomeni sociali complessi come le migrazioni, la convivenza fra culture, il ruolo delle minoranze.

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Secondo Guadagnucci il mondo del giornalismo sta svolgendo un ruolo servile rispetto a forze politiche che hanno conquistato l'egemonia in una materia che è diventata un tema cardine delle campagne elettorali. E' un servilismo che ha vari risvolti: dall'accettazione dell'agenda politica imposta dal "partito xenofobo" (trasversale alle forze politiche) al linguaggio. Sotto questo profilo c'è una coincidenza quasi perfetta fra le parole e le visioni del "partito xenofobo" da un lato, il lessico e la lettura dei fenomeni sociali dei grandi media dall'altro.

Guadagnucci ricorda gli obiettivi della campagna di Gcr: responsabilizzare i singoli operatori dell'informazione a partire dal proprio lessico, invitando ciascuno a usare parole appropriate e rispettose di tutti, rifiutando termini ormai tossici e discriminatori, a cominciare da quelli indicati dalla campagna lanciata da Gcr: clandestino, nomade, zingaro, vu cumprà, extracomunitario.

Un'altra strada promettente per cambiare la deriva xenofoba dei media, è nel consumo critico dell'informazione: i cittadini e la società civile organizzata possono cioè diventare un pungolo per i singoli giornalisti e le rispettive testate. E' quanto fanno soggetti come il Cospe, una ong che ha dedicato uno specifico impegno al ruolo della comunicazione in una società multiculturale, e Articolo 3, l'osservatorio sul razzismo nato a Mantova.

Attraverso lettere, contatti diretti coi cronisti, prese di posizione pubbliche, in certi casi anche esposti all'Ordine dei giornalisti, è possibile contribuire a un cambiamento - un miglioramento - della qualità dell'informazione, un fronte delicatissimo all'interno di  una società che è già pluriculturale ma stenta ad ammetterlo. 

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