Ma che lingua parliamo?
23 agosto 2010
UN LINGUAGGIO DA CAMBIARE
Corrado Giustiniani, sul Fatto quotidiano, è tornato sul tema del lessico giornalistico in materia di immigrazione. Nel suo articolo Giustiniani mette in luce l'importanza della Carta di Roma, il codice deontologico approvato un paio di anni fa da Fnsi e Ordine dei giornalisti, e al tempo stesso ne indica alcuni limiti, a cominciare dalla sua scarsa diffusione. Vanno "moltiplicati gli sforzi", dice Giustiniani, per diffonderla nelle redazioni, fra chi scrive i pezzi e chi li passa e li titola". In aggiunta la Carta va considerata un "cantiere aperto", da arricchire con nuove indicazioni e un glossario più ampio. Sono osservazioni più che giuste e dispiace semmai che il dibattito sulla Carta di Roma e quindi l'informazione su migranti e minoranze non sia finora decollato.
Lo stesso Giustiniani offre alcuni spunti per la discussione. Obietta ad esempio che l'aborrito vocabolo "clandestino" sia sostituibile con "irregolare" e dice di preferire, in alcune circostanze, il termine "illegale", dato che potrebbe essere irregolare anche un italiano che lavora senza contratto. Sul piano strettamente tecnico Giustiniani può anche avere ragione, ma che si possano definire "illegali" delle persone per il semplice fatto che non hanno certi documenti, è più che opinabile. E' sempre bene ricordare che nella maggior parte dei casi si potrebbe semplicemente parlare di "persone" senza altre etichette: la qualità dell'informazione ne avrebbe beneficio. Lo stesso Giustiniani, del resto, suggerisce di anteporre il vocabolo "persone" quando si parla di "extracomunitari" e in effetti in questo modo l'effetto-etichettatura del diffuso neologismo tende a svanire.
Non convince Giustiniani quando propone di "riabilitare" la parola zingaro, sostenendo che viene usata da chi "di zingari se ne intende", cioè la Comunità di Sant'Egidio. Ci sembra preferibile un altro criterio di valutazione, e cioè l'opinione delle persone che in quel modo vengono chiamate: la grande maggioranza di rom e sinti rifiuta ormai il termine "zingari", perché ha assunto in tutta Europa connotati fortemente negativi e discriminatori.
Sulla valutazione positiva del termine "badante" ci sarebbe da discutere. Giuseppe Faso ne ha ricordato l'origine: fu Umberto Bossi negli anni Novanta a introdurre questa parola nel discorso pubblico, usandola come un epiteto spregiativo. In precedenza si usavano altri vocaboli - assistente, infermiera e così via - e quindi le alternative esistono, né vale granché osservare che "badante" è una parola breve che sta nei titoli: se questo fosse il criterio di scelta, non si capirebbe il successo di "clandestini" o "extracomunitari", che brevi non sono davvero.
Ha ragione tuttavia Giustiniani quando sostiene che ogni valutazione sul lessico diventa superflua se non c'è, contestualemte, un'analisi critica e autocritica sul tipo di informazione che si fa in materia di immigrazione e minoranze: certe notizie vengono pompate, altre occultate. E spesso, aggiungo io, i media accettano d'essere complici di quegli imprenditori politici della paura che lanciano campagne d'allarme per lucrare consenso promettendo repressione dopo avere stimolato ansie e diffidenze.
Insomma, ben venga la Carta di Roma, ben venga il confronto sul lessico, ma non si nascondano, i giornalisti, che la pessima informazione che si fa in Italia su un fenomeno complesso come l'immigrazione e il confronto fra culture è anche colpa loro.
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LA PERICOLOSA PARTITA DI SARKOZY
A proposito di rom, la campagna del governo francese contro piccoli gruppi di cittadini bulgari e romeni, rispediti "volontariamente" in patria con grande platealità, rende evidente anche ai più scettici che la xenofobia e la scelta di gruppi minoritari come capri espiatori sono tuttora una potente tecnica di gestione del potere e ricerca del consenso.
La società civile e politica francese, più di quella italiana, ha contestato i rimpatri e gli argomenti del presidente Sarkozy, ma è molto chiaro che i governi europei, in crisi di consensi, sono decisi a mettere sul piatto la carta della xenofobia, fino a ridisegnare i diritti di cittadinanza, formalizzando l'esistenza di due categorie: da una parte i cittadini-cittadini, ossia gli autoctoni socialmente integrati; dall'altra parte gli stranieri, i rom, le minoranze variamente etichettate, alle quali viene attribuito un livello inferiore di tutele e diritti.
E' un gioco pericoloso e ha già prodotto, da parte del ministro italiano Maroni, l'idea di un ulteriore salto di qualità, ossia la facoltà per le autorità nazionali di espellere anche cittadini stranieri comunitari che non rispondano a certi requisiti di reddito e qualità dell'abitazione. Rischia di cadere l'idea democratica di cittadinanza, col popolo rom ancora una volta utilizzato come palestra di discriminazione. L'Italia, come ha fatto capire chiaramente Maroni nell'intervista pubblicata (in modo fin troppo acritico) dal Corriere della sera, sarà probabilmente il laboratorio in cui sarà condotto questo pericoloso esperimento.
I media dovranno scegliere che ruolo giocare: meri portavoce del potere politico o parte attiva del dibattito, magari a tutela di chi una voce non ha?