La libertà di stampa e le responsabilità dei giornalisti
LA LIBERTA’ DI STAMPA E LE RESPONSABILITA’ DEI GIORNALISTI
L’informazione italiana sta attraversando un periodo difficilissimo: alla radicata crisi di credibilità e di autonomia, all’assenza di tutele e garanzie contrattuali per precari e freelance (che producono gran parte dell’informazione), si sommano gli effetti della recessione e le minacce sempre più esplicite del sistema politico.
La manifestazione del 19 settembre è una risposta - ci pare - soprattutto ai proclami e a certi progetti del governo in carica (a cominciare dalla legge detta sulle intercettazioni, che limiterebbe enormemente il diritto di cronaca): è quindi una manifestazione opportuna, che condividiamo, per quanto arrivi con grave ritardo.
Di sicuro è necessario che non resti un episodio isolato: ci aspetteremmo ad esempio dal sindacato qualche atto più deciso e più profondo, come uno sciopero generale. Le parole servono ma non bastano.
La libertà di stampa è sotto attacco e l’autonomia dei giornalisti è sempre meno percepibile dai cittadini: per difendere l’una e riaffermare l’altra, ci pare necessario che la manifestazione del 19 settembre sia concepita come il primo passo verso una reazione culturale e professionale di tutta la categoria, che deve scrollarsi di dosso l’inerzia e il conformismo degli ultimi anni.
La pressione politica e i conflitti d’interessi stanno soffocando il giornalismo italiano, sommandosi a una dipendenza dai poteri economici sempre più allarmante, ma non si può negare che vi sia anche una debole capacità della categoria di tutelare la propria indipendenza, di riflettere sul proprio lavoro e di svolgere una funzione sociale all’altezza dei tempi che viviamo.
Il contributo che vorremmo dare alla manifestazione del 19 settembre è un richiamo a tutti noi, affinché riflettiamo sulle responsabilità che abbiamo avuto nel permettere che si creasse nel nostro paese e nelle nostre istituzioni un “senso comune” nel quale il razzismo e la discriminazione hanno trovato terreno fertile per legittimarsi e diffondersi.
Si alimenta così un clima di odio, con il risultato di rendere la vita un inferno per alcuni gruppi sociali, ma anche di abbrutire nel suo insieme la vita sociale nel nostro paese: così non si costruisce “sicurezza”, bensì conflitto e malessere diffuso, distogliendo l’attenzione dalle responsabilità del potere politico ed economico mentre dilagano crisi e disoccupazione.
Oltre un anno fa lanciammo un appello ai colleghi giornalisti dal titolo “I media rispettino il popolo rom”. Eravamo nel pieno di una campagna politica e mediatica che criminalizzava un gruppo umano che ha una lunga storia di discriminazioni.
Da allora non ci siamo stancati di segnalare i molti - troppi - casi in cui i media hanno contribuito a creare un clima di ansia e di allarme verso i migranti e le minoranze, tradendo i principi deontologici (rispetto delle persone, attinenza ai fatti, autonomia dalla politica).
Abbiamo proposto ai colleghi di avviare una seria riflessione sul comportamento dei media in merito alla cosiddetta “emergenza sicurezza” che domina l’informazione e l’agenda politica ormai da molto tempo; abbiamo proposto di adoperare un linguaggio misurato e appropriato, ad esempio mettendo al bando parole come “clandestino”, “extracomunitario”, “nomade”, usate ormai regolarmente in modo inesatto e discriminatorio.
L’appello è stato raccolto da alcune testate e - a titolo personale - da qualche centinaio di giornalisti, ma ancora non basta, e nel frattempo il parlamento ha approvato un “pacchetto sicurezza” che contiene alcune norme che negano il principio costituzionale di eguaglianza fra le persone.
Molti colleghi e redazioni, per senso di impotenza o quieto vivere, preferiscono assecondare il clima di paura che viviamo anziché assumersi la responsabilità sociale di costruire una società migliore a partire dal modo in cui la si racconta.
Siamo convinti che la libertà di stampa, l’autonomia professionale e la credibilità dell’informazione si possano difendere solo raccogliendo davvero le sfide del nostro tempo, a cominciare dall’incontro fra culture e fra persone, riconoscendo ad esempio che i migranti non sono la parte malata di una società importante, ma una parte importante di una società malata.
Ognuno ha la possibilità di contrastare la deriva in corso. Ognuno lo faccia nei modi che gli sono concessi, ma non stia a guardare. Non si chiedono atti di eorismo ma almeno granelli di sabbia che piano piano riescano a fermare il meccanismo infernale che si è innescato: un pensiero in più, una parola più adatta di quella usata abitualmente, una verifica dei fatti, una domanda scomoda...
Con questo spirito aderiamo alla manifestaizone di Roma.
Lorenzo Guadagnucci, Carlo Gubitosa, Beatrice Montini, Zenone Sovilla - Giornalisti contro il razzismo