Gruppi di tematiche

Giuseppe Faso: "La differenza fra acquiescenza e critica"

28 marzo 2009

 Risposta di Giuseppe Faso all'intervento di Alberto Severi sul Corriere fiorentino

Alcuni mesi fa, "Giornalisti contro il razzismo" lanciò una campagna contro l'uso della parola "clandestino". Vi hanno aderito oltre 190 giornalisti e alcune agenzie di stampa, e, da ultimo, il presidente della Regione Toscana, Martini. La cosa non è piaciuta ad Alberto Severi, che sul "Corriere Fiorentino" del 19 marzo 2009, sotto il titolo "Clandestini? Diversamente regolari" muove alcune critiche che gli sembrano spiritose: il termine "clandestino" gli sta simpatico, sa di avventura e di emozioni giovanili, non trova alternative valide; infine, detesta la "stucchevole ipocrisia del politically correct".

Abbiamo imparato da tempo che quando si batte una mano sulla spalla di un amico, o di un conoscente, e gli si chiede: ma cosa intendi per .....(clandestino, badante, vucumprà: eccetera)? una delle reazioni più frequenti è l'irritazione: ma come ci si permette? Si è sempre detto così, badante (infatti, da ben sette anni); o non è affatto volgare, vucumprà (sì, è una raffinatezza da grande scrittore); non esiste sinonimo di "clandestino": che è parola romantica, avventurosa, sa di trasgressione giovanile, se non eroica. L'ha detta Manu Chao, dice Severi, rovesciandone la connotazione da negativa a positiva. Appunto.

Se è per questo in molti aderiamo alla campagna del settimanale "Carta" e portiamo la maglietta "Clandestino"; la regaliamo, anche. Perché conosciamo la differenza tra praticare e rovesciare, tra acquiescenza e critica. Quando però abbiamo letto, sul "Corriere di Firenze", il 6 giugno 2008, a caratteri cubitali, "Careggi. 618 culle clandestine. Boom delle prestazioni sanitarie a favore di extracomunitari" ci siamo molto preoccupati, e non per i principi del politicamente corretto, ma perché quel titolo, come nel 98% dei casi in cui si usa il termine "clandestino", non evocava nulla di romantico: chissà come mai il Severi non si è accorto di quello, e di mille altri usi discriminatori della locuzione. Che non discrimina in sé, per il semplice fatto che nulla, in sé, discrimina: la semantica invocata (un po' a braccio) da Severi infatti si è aggiornata, filtrata attraverso la linguistica testuale e la pragmalinguistica, e ci ha spiegato che non sono le parole che "vogliono dire", perché non sono loro che sono in relazione alle cose (ai concetti, poi...).

E' chi parla che istituisce una relazione tra, poniamo, la parola "clandestino" e una persona che versa in quel momento in una certa condizione. Ora, chi ha collegato "clandestino" a certe situazioni lo ha fatto comunicando un'immagine negativa di quelle situazioni, e "clandestino", che per Severi rievoca nostalgicamente furtivi amori adolescenziali, si è caricato di quei testi, di quei contesti, di quei giudizi emessi in migliaia e migliaia di articoli, una buona parte dei quali abbiamo analizzato, partendo non da un manuale di principi politicamente corretti ma dall'averci inciampato, in molti titoli e in molti articoli in cui quel termine è usato per discriminare, naturalizzare, stigmatizzare.

Capiamo benissimo che Severi trasalirà di emozione, quando leggerà in una biografia di Giuseppe Garibaldi, che "si dette alla clandestinità"; ma la stessa espressione ha un effetto diverso ( e di forte disinformazione) in una brano testuale come questo: "Anni addietro aveva presentato un documento regolare per ottenere il permesso di soggiorno. In seguito si era dato alla clandestinità. Ora è in viaggio per il centro di detenzione temporanea di Caltanisetta in attesa di essere rispedito in patria, in Marocco perchè clandestino".

Non si tratta di una frase inventata per amore di polemica, la si può leggere, errori ortografici (e non tipografici, perché tipici) compresi, su "La Nazione", cronaca di Firenze, 17 marzo 2002. Non abbiamo fatto come Severi, che per riportare esempi della "stucchevole ipocrisia del politically correct" conia lui alcune definizioni davvero demenziali: «diversamente regolari», «portatori temporanei di mancata concessione di soggiorno», «non esibenti al momento documentazione idonea».

Quello che Severi non sa, è il racconto di un sogno, in cui una ragazza, dopo avere acconsentito alle prime avances di un giovane bellissimo, cerca di bloccare una carezza un po' audace, dicendo "screanzato", e sentendosi rispondere: "guarda che il sogno è tuo". E a forza di concentrarsi sui prodotti della propria immaginazione, si rischia di non accorgersi che sono in atto da tempo, in Italia, violente campagne politiche e mediatiche contro gli immigrati. Quelle, ci preoccupano e interessano, e non le variazioni sul tema: periodo ipotetico del III tipo, o dell'impossibilità: che cosa rispondereste se vi trovaste di fronte a formulazioni politically correct che non esistono?

Ma Severi può stare tranquillo: nella predilezione per il periodo ipotetico del III tipo sull'immigrazione sta in buona compagnia...

Giuseppe Faso

 

Powered by PhPeace 2.6.44