Cari giornalisti, la "Carta di Roma" non basta
di Carlo Gubitosa <carlo@gubi.it>
Come affrontare con serietà professionale le notizie che riguardano
stranieri, rifugiati, richiedenti asilo e vittime di tratta? E' questa
la domanda a cui hanno cercato di rispondere l'Ordine dei Giornalisti
e la Federazione Nazionale della Stampa, che il 12 giugno scorso hanno
approvato la "Carta di Roma", un codice deontologico redatto con il
supporto dell'Alto Commissariato Onu per i rifugiati.
La lettura di questo documento (disponibile online su www.odg.it)
lascia soddisfatti dal punto di vista etico grazie all'affermazione, o
meglio alla riaffermazione, di principi validissimi e condivisibili,
tra cui "il dovere fondamentale di rispettare la persona e la sua
dignità e di non discriminare nessuno per la razza, la religione, il
sesso, le condizioni fisiche e mentali e le opinioni politiche".
A questo si aggiunge l'invito a prestare "la massima attenzione nel
trattamento delle informazioni" nelle forme piu' varie: utilizzando
termini giuridicamente appropriati, evitando la diffusione di
informazioni distorte o che possono generare allarmi ingiustificati,
tutelando la riservatezza delle fonti e consultando possibilmente
organizzazioni competenti sul tema delle migrazioni per dare alle
notizie il giusto contesto.
Sul versante deontologico, tuttavia, il documento risulta povero di
indicazioni concrete che possano tracciare lo stato dell'arte della
professione giornalistica. Sarà molto difficile che questa carta
possa trasformarsi in una "guida operativa" capace di incidere in
positivo sull'attività quotidiana del giornalista, o in un
riferimento per chi si avvicina alla professione cercando di capire
che cosa e' notizia e cosa non dovrebbe esserlo.
La necessità di dare alla "carta" una reale efficacia è emersa anche
all'interno dell'Ordine dei giornalisti. "E' importante - ha
commentato Nicoletta Morabito, Consigliere Nazionale dell'Ordine - che
il documento non resti lettera morta e solo una bella dichiarazione di
intenti e di principi. Occorre ora attivarsi perché la 'Carta di Roma'
trovi un'applicazione pratica su tutti i giornali"
Ma per indicare delle buone pratiche è indispensabile dire con
chiarezza quali sono le cattive, e prevedere sanzioni e conseguenze
per chi decide di saltare quella linea sottile che divide il
giornalismo rigoroso dall'intrattenimento sensazionalista. La "Carta
di Roma" da questo punto di vista, lascia molti problemi irrisolti.
Gli unici impegni concreti contenuti nel documento non riguardano
l'attività nelle redazioni: ordine e FNSI si impegnano ad inserire il
tema dell'informazione sui migranti nelle scuole di giornalismo
(ammettendo implicitamente di averlo ignorato finora), e decidono di
"promuovere periodicamente seminari di studio" sul tema, istituire
appositi premi di giornalismo dedicati all'informazione sui migranti e
costituire un "Osservatorio autonomo ed indipendente".
L'oggetto di osservazione, tuttavia, non saranno i cosiddetti "media
dell'odio", o gli episodi in cui il giornalismo alimenta il fuoco dei
conflitti etnici, ma "l'evoluzione del modo di fare informazione" sui
migranti. Al tempo stesso il risultato delle osservazioni non saranno
informazioni date ai cittadini sulla qualita' dei nostri media, ma
semplici "analisi qualitative e quantitative dell'immagine" dei
migranti nei media italiani, che verranno consegnate "ad enti di
ricerca ed istituti universitari italiani ed europei", e a non meglio
specificate "agenzie dell'Unione Europea e del Consiglio d'Europa" che
si occupano di discriminazione. Come a dire che la xenofobia nei mezzi
di informazione è un panno sporco che non va lavato in casa, e che se
ne occupino le istituzioni europee se proprio ci tengono.
Per provare ad andare oltre la "Carta di Roma" e per affrontare
concretamente i problemi dei giornalisti alle prese con il difficile
racconto dell'immigrazione, un gruppo di 40 giornalisti indipendenti,
senza finanziamenti ne' organizzazioni alle spalle, ha lanciato in
rete la campagna "I media rispettino il popolo Rom"
(www.giornalismi.info/mediarom). Sul sito, oltre a raccogliere
centinaia di adesioni, è stato attivato anche un "Osservatorio sul
razzismo nei media", dove chiunque può segnalare episodi concreti e
circostanze specifiche di servizi giornalistici che possono alimentare
la paura, il razzismo e la violenza. "L'obiettivo non è la delazione
tra colleghi - spiega Lorenzo Guadagnucci, uno dei promotori
dell'iniziativa - ma l'esercizio del 'consumo critico' di informazione
da parte dei cittadini. Vogliamo che le redazioni subiscano anche la
pressione democratica che la società civile è in grado di esercitare
dal basso, e non solo la pressione che arriva dall'alto dei poteri
politici".
Le lacune culturali del settore giornalistico sui temi
dell'immigrazione, e la conseguente necessità di interagire con
cittadini e associazioni, sono dimostrate dal fatto che nella "Carta
di Roma" la parte più importante è l'allegato: un glossario di
termini in cui si spiega per filo e per segno chi è un richiedente
asilo, un rifugiato, un "beneficiario di protezione umanitaria", una
vittima della tratta, un migrante/immigrato e un "clandestino" o
migrante irregolare.
Il problema è che anche con questa carta i professionisti
dell'informazione restano abbandonati a se stessi quando si tratta di
decidere come definire un "clandestino" che al tempo stesso è un
"richiedente asilo". L'assenza di indicazioni chiare da parte degli
organi deontologici avrà' come conseguenza un solo risultato: ognuno
scegliera' il termine che più gli conviene, in funzione
dell'orientamento politico e ideologico della propria testata, e in
funzione delle indicazioni ricevute sul "taglio" da dare al pezzo.
La "Carta di Roma" non dice nulla nemmeno su ciò che può essere
considerato "notizia" e quello che non dovrebbe esserlo, o almeno non
sempre, per non affermare implicitamente dei valori di rilevanza e
notiziabilità che smorzano i reati commessi da cittadini italiani e
amplificano mediaticamente quelli compiuti dai migranti, producendo
una discriminazione oggettiva anche con le migliori intenzioni da
parte di chi scrive. Per capire meglio che proporzioni hanno assunto
questi problemi c'è chi propone di fare la "prova del nove"
sostituendo alla parola rom, o clandestino, o extracomunitario, la
parola "ebreo", per scoprire che l'istituzione di un "Commissario ai
Rom" dovrebbe inquietarci e indignarci tanto quanto quella di un
"Commissario agli ebrei", o che viceversa certe espressioni ci
lasciano indifferenti proprio come lasciavano indifferenti i cittadini
tedeschi degli anni '40.
Altri problemi aperti riguardano espressioni ambigue lasciate fuori
dal "glossario", come ad esempio il termine "centri di accoglienza",
utilizzato per indicare "centri di raccolta" o "centri di detenzione"
dove non puoi entrare e uscire liberamente come fai quando qualcuno ti
"accoglie", oppure il termine "extracomunitario", valido a rigor di
logica anche per cittadini statunitensi, svizzeri o australiani, o
l'espressione "badante", che indica un ruolo ben più impegnativo
della semplice sorveglianza, al punto che si trasforma in
"collaboratrice domestica" quando il ruolo viene ricoperto da chi ha
cittadinanza italiana.
Nel 1993 la "Carta dei doveri del giornalista" è nata sull'onda di
Tangentopoli per tutelare la presunzione di innocenza degli inquisiti
eccellenti, vietando ad esempio di pubblicare fotografie di persone in
manette non ancora condannate. Quindici anni dopo i giornalisti si
sono ricordati che c'e' bisogno di regole anche quando si parla dei
"cittadini di serie B" o dei barbari che ancora non sono degni di
essere cittadini dell'impero. Ma la brutta sensazione che lascia la
"Carta di Roma" è che il modo con cui è stato realizzato questo
sforzo di memoria serva più per lavare le coscienze che per
migliorare la qualità dell'informazione.