Mafia e politica
Per ricordare Piersanti Mattarella non c'è bisogno di dimenticare Pio La Torre
Tra pigra ignoranza e facile giustizialismo, possiamo scempre scegliere il faticoso vizio della memoria
3 febbraio 2015 - Carlo Gubitosa
Ragionando sul nuovo capo dello stato, è molto difficile camminare su quel sottile crinale di equilibrio dove si rischia di precipitare in due diversi estremismi. Da un lato abbiamo il rischio di cadere nella beatificazione acritica di tutto quello che circonda un "santo padre" al quale abbiamo affidato fiducia e speranze senza soffermarci troppo sulla memoria storica, e dall'altro c'è il pericolo di affidarsi alle facili equazioni che vedono Mafia e DC come sinonimi, snocciolate all'ingrosso da alcuni esponenti dell'opposizione per i quali Sergio Mattarella "proviene simbolicamente da una tradizione che in relazione alla mafia ha tanto da chiarire e farsi perdonare", come ha dichiarato il senatore pentastellato Nicola Morra.
Tra le derive viziate da amnesia e qualunquismo, è necessario uno sforzo di lucidità che disinneschi contemporaneamente le macchine del fango e la rimozione della memoria, per rivendicare il diritto di fare chiarezza sulla figura del nuovo capo dello Stato con l'obiettivo della trasparenza e della conoscenza, categorie di pensiero che vanno a tutto vantaggio delle istituzioni e della loro dignità.
Nel farlo si parte da un dato di principio che è tra i concetti fondamentali dell'informazione: per quello che riguarda un personaggio pubblico, il diritto di informazione del cittadino è tanto più rilevante quanto più è prestigiosa la carica istituzionale del personaggio pubblico in questione. In altre parole: più sei potente, più devi essere trasparente.
E per il personaggio "più pubblico" d'Italia, ovvero il capo dello Stato, il cittadino ha il diritto di conoscere tutto il passato estraneo alla sfera privata, anche fatti che non sono penalmente rilevanti, ma restano comunque rilevanti per l'analisi storica, sociale e politica degli ambienti che hanno espresso politicamente e umanamente tale personaggio, e perfino fatti relativi al suo entourage familiare, alle sue frequentazioni, alle sue origini, anche se questi fatti non sono attribuibili a lui direttamente, ma contribuiscono comunque alla nostra conoscenza di quello che si è mosso attorno al personaggio pubblico.
Dopo queste doverose premesse, possiamo arrivare al punto, ovvero alla figura di Bernardo Mattarella, padre del nostro neoeletto capo dello Stato, un incensurato esponente democristiano del quale nulla possiamo dire sul piano penale, ma qualcosa si può dire sul piano storico, lasciando parlare i documenti ufficiali.
E restando ai fatti, possiamo derubricare come faziose, irrilevanti o poco obiettive le decine di testimonianze raccolte sulla figura di Bernardo Mattarella dall'attivista nonviolento Danilo Dolci, noto per il suo instancabile impegno accanto ai siciliani più poveri e sfruttati, con azioni come lo "Sciopero al contrario" che ha radunato disoccupati della Sicilia intenzionati a ribellarsi con lavori socialmente utili, o l'accensione della prima "radio pirata" italiana, la "Radio dei poveri cristi", che denunciava le sofferenze dei terremotati del Belice raccogliendo la voce di un popolo abbandonato in mezzo alle macerie.
Possiamo anche confondere con una conclamata prova di menzogna la condanna per diffamazione che ha colpito Dolci per aver raccolto quelle testimonianze in un libro/denuncia (Chi gioca solo, Einaudi, 1966) al quale ha fatto seguito un libro/cronaca del suo processo per diffamazione, (Esperienze e riflessioni, Laterza, 1974) da cui è tratta questa pagina:
Possiamo scartare come inattendibili anche le ricostruzioni di Giuseppe Casarrubea, uno dei piu' autorevoli storici e studiosi del fenomeno mafioso, che a pagina 69 nel suo libro "Fra' Diavolo e il governo nero. «Doppio Stato» e stragi nella Sicilia del dopoguerra" riporta le dichiarazioni di Salvatore Pisciotta, affiliato alla banda di Salvatore Giuliano sin dalla sua costituzione: "io ho assistito ai colloqui che avvennero tra costoro e Giuliano, e fu precisamente da questi che Giuliano fu mandato a sparare a Portella della Ginestra". E in questi "costoro" c'era anche Bernardo Mattarella. Possiamo sorvolare sul fatto che a pagina 84 dello stesso libro Casarrubea aggiunge che "Mattarella non nascondeva la sua protezione per Vincenzo Rimi, vissuto da sempre all'ombra della DC, e considerato «l'architrave dell'edificio mafioso nella provincia di Trapani»".
Quello che non possiamo ignorare sul piano storico, invece, sono gli atti della "Commissione parlamentare sul fenomeno della mafia in Sicilia", che durante i lavori effettuati nella VI legislatura (dal 22 febbraio 1973 al 4 luglio 1976) ha ascoltato Danilo Dolci in qualità di testimone, e ha messo agli atti quelle dichiarazioni firmate su Mattarella che poi furono rifiutate dal tribunale che ha condannato Dolci per diffamazione, ritenute non pertinenti poiché in quel processo Mattarella era accusatore e non imputato, e l'oggetto del contendere erano le dichiarazioni di Dolci e non le ombre sulle frequentazioni di Bernardo Mattarella.
Ombre che invece furono riportate nella relazione di minoranza della commissione antimafia, firmata tra l'altro anche dal deputato comunista Pio La Torre, ucciso nel 1982 su ordine dei boss mafiosi Salvatore Riina, Michele Greco, Bernardo Brusca, Bernardo Provenzano, Giuseppe Calò, Francesco Madonia e Nenè Geraci, perché aveva proposto il disegno di legge che prevedeva per la prima volta il reato di "associazione mafiosa" e la confisca dei patrimoni dei mafiosi.
A pagina 575 degli atti della Commissione, dove è riportata la relazione di minoranza, si legge che "la regione Siciliana fu impiantata da uno schieramento politico che era l'espressione organica del blocco agrario e del sistema di potere mafioso", e nella pagina successiva si spiega che gli interessi di questo blocco agrario di latifondisti (che esprimeva la classe politica assieme al potere mafioso) erano tutelati da "esponenti della Democrazia cristiana siciliana come il professor Gioacchino Scaduto (allora sindaco di Palermo); il professor Pietro Virga (allora assessore ai lavori pubblici del Comune di Palermo); il professor Lauro Chiazzese, Rettore dell'Università, presidente della Cassa di Riaparmio V.E. per le province siciliane, e segretario regionale amministrativo della DC; il professor Orlando Cascio, uomo di fiducia del ministro Mattarella".
L'intreccio tra gli interessi dei latifondisti e quelli dei mafiosi viene spiegato nella relazione di minoranza spiegando che "queste personalità, presentando i ricorsi degli agrari, erano in grado di influenzare fortemente l'attività dell'Assessorato regionale all'agricoltura e dell'Ente di riforma agraria. Il personale dell'Assessorato della agricoltura e quello dell'Ente di riforma agrazia, d'altro canto, era stato assunto con i peggiori metodi del clientelismo, privilegiando alcuni rampolli delle più note famigli emafiose. Le connivenze, pertanto, diventarono un fatto normale. Solo così si spiega il fatto che per ben 5 anni gli agrari riuscirono a bloccare l'attuazione della riforma. Nello stesso tempo venne attuata una colossale truffa nei confronti dei contadini siciliani, con l'operazione vendita delle terre in violazione della legge di riforma agraria. Protagonista di questa operazione doveva essere la mafia".
In questo documento, che fa parte a pieno titolo della storia italiana della lotta alla mafia, si parla anche di personaggi "che più organicamente e stabilmente hanno espresso il sistema di potere mafioso", includendo tra questi l'"avvocato Orlando Cascio, uomo di fiducia di Bernardo Mattarella".
Un quadro grigio, quindi, che non permette di banalizzare la complessa realtà siciliana cercando politici buoni e mafiosi cattivi, ma ci obbliga anche a cercare i latifondisti sfruttatori e i politici che li appoggiavano, in quella che con un gergo più moderno si potrebbe definire una "terra di mezzo" tra "il mondo di sopra" e il "mondo di sotto".
Nel periodo della cosiddetta "mafia agricola", la relazione di minoranza della commissione antimafia spiega che "le più importanti cosche mafiose della Sicilia occidentale confluirono nel sistema di potere della DC. Ciò spiega la loro potenza e come riusciranno prima a bloccare la riforma agraria e poi a svuotarla largamente con l'operazione vendita delle terre". Una operazione che costò ai cittadini parecchi miliardi di lire dell'epoca, pagando a prezzi gonfiati ciò che avrebbe potuto essere pagato l'80% in meno se gli espropri e le disposizioni della riforma agraria fossero stati eseguiti senza condizionamenti esterni.
Quali che fossero le frequentazioni del padre con i personaggi più ambigui di quelle pagine di storia, va detto che comunque quelle frequentazioni non hanno impedito ai figli di Bernardo Mattarella di esercitare onorevolmente il loro impegno civile nelle istituzioni, attirando su di sè quel piombo mafioso che ha stroncato la vita di Piersanti Mattarella e che ha spinto il fratello Sergio ad essere tra i più attivi sostenitori di quella feconda stagione di impegno civile nota come "primavera di Palermo".
Ed è così che lo ricorda Riccardo Orioles, il direttore della testata online "I Siciliani giovani", che ha raccolto l'eredità giornalistica de "I Siciliani" diretti da Pippo Fava, dove Orioles era uno dei più instancabili cronisti.
Orioles non ha problemi a ricordare la storia di Rita Atria, la "picciridda" che affidò a Paolo Borsellino le informazioni che costarono un'indagine a Vincenzo Culicchia, il notabile di Partanna per il quale Sergio Mattarella aveva garantito personalmente, e che da quella vicenda uscì "assolto, ma dopo un processo che ne aveva messo in luce comportamenti, amicizie e attività assolutamente non compatibili - moralmente, anche se non penalmente - con la difesa che ne aveva fatto Mattarella".
Ma al di là di quell'episodio, Orioles scrive anche che "Sergio Mattarella fa parte della nostra storia, della vecchia Antimafia: dall'assassinio di suo fratello nacque il rinnovamento della Dc palermitana, di cui egli fu protagonista". E questa testimonianza ci basta e ci avanza per fidarci del nostro nuovo capo dello stato, ma non per fare sconti alla memoria, torti alla storia, o insulti all'intelligenza.
E alla luce dei documenti storici esaminati fin qui, dopo aver preso le distanze dalle dichiarazioni frettolose che mettono nel medesimo calderone della mafiosità chiunque abbia avuto a che fare con la Democrazia Cristiana, per restare sul sottile e impervio crinale della verità storica ci sembra eccessivo descrivere il percorso di Bernardo Mattarella come una parabola al di sopra di ogni sospetto, che appariva onesta al di là di ogni ragionevole dubbio oltre ad esserlo nei fatti, e che pertanto può essere facilmente rimossa dalla nostra memoria collettiva senza discuterne più di tanto.
La rimozione della memoria, in questo caso, è cosa che mette in difficoltà non solo l'intelligenza di chi ricorda, non solo la verità messa agli atti dei lavori parlamentari della Commissione Antimafia (che ha una dignità storica non subordinata alla dignità penale della verità giudiziaria), ma anche la memoria di Pio La Torre, che assieme a quella di Piersanti Mattarella dovrebbe rappresentare una bussola importante per il nostro agire politico e sociale, senza facili condanne e senza facili assoluzioni.
Per chi vuole leggere nella sua integrità la relazione di minoranza della Commissione Parlamentare Antimafia, qui c'è la copia integrale in formato elettronico, strappata all'oblio elettronico dall'"Archivio digitale Pio La Torre" realizzato dalle nostre istituzioni in collaborazione con il "centro di iniziative culturali Pio La Torre", che peraltro ha salutato con favore l'elezione del nuovo capo dello Stato dichiarando per bocca del presidente Vito Lo Monaco che Sergio Mattarella "non avrà bisogno di alcuna sollecitazione per salvaguardare la nostra democrazia dalle spire del sistema politico mafioso che la insidiano".
E allora, se è vero che le colpe dei padri, vere o presunte, non si possono far ricadere i suoi figli, è anche vero che un popolo che ignora la propria storia, magari per paura della complessita che l'attraversa, si condanna inevitabilmente a ripeterla. Tra pigra ignoranza e facile giustizialismo, possiamo scempre scegliere il faticoso vizio della memoria, che mette a nudo mostri ed eroi, restituendoceli semplicemente come complicati esseri umani.
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