E' tempo di bilanci per il "Servizio Pubblico" privatizzato su La7
E' tempo di bilanci dopo la chiusura della prima (e forse anche l'ultima) stagione autogestita di "Servizio Pubblico", il programma del "clan Santoro" costruito attorno ad un "azionariato popolare televisivo" con sottoscrizioni da dieci euri. E per calcolare il rapporto tra i costi sostenuti e i benefici culturali basta fare due conti sui dati pubblici relativi al programma.
Nell'ultima puntata Santoro ha parlato di centomila sottoscrittori, ed e' su questo dato che basero' i miei conteggi. Centomila sottoscrittori di quote da dieci euri equivalgono a un milione di euri, che spalmato su 29 puntate fa un budget di 34500 euri a puntata, al quale vanno aggiunti gli incassi pubblicitari per i quali non esistono dati pubblicamente disponibili, e quindi faremo finta che non ci siano stati.
Per questa cifra il pubblico ha potuto godere di approfondimenti sui temi di cronaca dignitosi ma non esaltanti, senza particolari "scoop" che almeno in teoria avrebbero potuto essere realizzati facilmente: basta prendere come termine di paragone il programma "Report" che e' riuscito a far scoppiare scandali, toccando i nervi scoperti del potere e collezionando denunce come medaglie al valore, anche con i vincoli piu' rigidi imposti da una televisione di Stato controllata dal Parlamento, proprio quella da cui Santoro ha voluto fuggire per essere piu' libero, ma forse alla prova dei fatti meno incisivo.
Questi 34500 euri a puntata si e' deciso di usarli per far parlare gente ricca, potente e discutibile, ben lontana da quella "vox populi" di cui dovrebbe farsi interprete un "talk show del popolo". Persone come Vittorio Feltri, Vittorio Sgarbi, Clemente Mastella, Renato Brunetta, Daniela Santanche', Roberto Castelli, e l'elenco potrebbe continuare con altri controversi "santini" transitati nella vetrina di Servizio Pubblico, tra cui Adriano Celentano, Alessandra Mussolini, Benedetto della Vedova, Carlo Freccero, Diego Della Valle, Enrico Letta, Enrico Mentana, Flavio Tosi, Francesco Rutelli, Francesco Speroni, Franco Bechis, Gad Lerner, Gianfranco Fini, Giulio Tremonti, Lucia Annunziata, Marine Le Pen, Massimo Ciancimino, Matteo Renzi, Matteo Salvini, Maurizio Gasparri, Michele Emiliano, Nicola Cosentino, Nicola Porro, Paolo Mieli, Philippe Daverio, Rosy Bindi, Valter Lavitola, Walter Veltroni.
Per ognuno di questi personaggi si potrebbe ricordare un episodio spiacevole, scorretto o controverso che avrebbe reso preferibile rivolgersi ad altri interlocutori. Al netto dei campioni di antipatia come il pregiudicato per truffa ai danni dello stato Vittorio Sgarbi, il "mangiaprecari" Renato Brunetta e la raffinatissima Daniela Santanche' dal dito medio sbarazzino, potremmo ricordare le lamentazioni di Celentano sulla liberta' di espressione, fatta da un pulpito di quattrini costruiti con la mafia legalizzata della SIAE che spreme come limoni gli artisti sconosciuti per ingrassare le tasche dei "big", la censura intenzionale e rivendicata come legittima da Gad Lerner dell'ultima intervista a Paolo Borsellino proposta invano al Tg1 che Lerner dirigeva all'epoca (poi sdoganata da Roberto Morrione su RaiNews24 e successivamente ripresa da Luttazzi), i trascorsi Mediaset di Carlo Freccero quando essere alla corte di Mr B era ancora di moda, le bufale di Massimo Ciancimino sdoganate in TV senza troppe verifiche e mai rettificate da chi le ha prese per buone.
Ma non stiamo facendo un album delle figurine, e quindi rimando alla memoria storica individuale (o in alternativa a Google) per scoprire come mai "il popolo di Santoro" sarebbe stato piu' informato e meglio rappresentato da soggetti diversi da quelli nominati in precedenza, magari piu' lontani dal potere o promotori di iniziative "dal basso" della societa' civile.
Santoro si era in passato lamentato di ospiti "imposti" dalla dirigenza Rai, ma evidentemente le persone a cui si riferiva non erano Sgarbi e la Santanche', richiamati sul palco anche dopo aver rimosso i vincoli della TV di Stato. Si sarebbe potuto pensare ad un utilizzo della rete leggermente piu' interattivo, permettendo ai "comproprietari" del "Servizio Pubblico" di interagire con la redazione anche per proporre ospiti, esperti o opinionisti da intervistare, senza limitarsi ai "sondaggini" via Facebook proposti come intermezzo tra un vip e l'altro, peraltro senza alcun valore statistico.
Cosa avrebbe potuto fare un "Comitato di Liberazione Nazionale" dell'informazione con 138mila euro al mese a sua disposizione? Per rispondere a questa domanda destinata a cadere nel vuoto sarebbe stato sufficiente mettere alla prova l'intelligenza collettiva di quei "centomila", chiedendo di contribuire anche con la loro fantasia, e non soltanto con i loro soldi.
Per raccogliere questi contributi sarebbe stata sufficiente una piattaforma online (realizzabile con poco sforzo a partire dal sito gia' realizzato per il programma) che avrebbe potuto permettere agli "azionisti" del programma di interagire con la redazione, proporre temi di inchiesta, costruire "palinsesti partecipativi" e progettare iniziative culturali avvalendosi dei consigli e dell'esperienza dei giornalisti che hanno svolto il ruolo di promotori per "Servizio Pubblico". Altrimenti non e' giornalismo partecipativo, ma solo un vecchio format televisivo che si incarna in un nuovo medium digitale.
Il quattro luglio su La7 Enrico Mentana ha annunciato trionfalmente dal suo Tg che "la prossima stagione di Servizio pubblico andrà in onda sulla nostra rete", e sembra proprio che l'esperienza partecipativa di Servizio Pubblico sia destinata ad essere riassorbita da un network commerciale.
Se sara' davvero questo il finale del percorso avviato con la raccolta di donazioni per una "nuova tv", chi sognava una rivoluzione del piccolo schermo potra' soltanto chiedersi se il pubblico di Santoro, con qualche ulteriore stagione di programmazione indipendente, avrebbe voluto e potuto reclamare un ruolo piu' attivo, per costruire una televisione generalista che non e' piu' "di massa", ma diventa "di popolo".
Le responsabilita' di questa occasione persa, a mio parere, vanno cercate ben oltre i limiti individuali dell'anchorman: se un pastore e' seguito da un gregge non si puo' pretendere che quelle pecore parlino o si mettano a volare. Il problema e' il nostro essere gregge, la tendenza tutta italiana a seguire "l'uomo salvezza", per fare massa anche all'alternativa, premiare la notorieta' senza sforzarsi di cercare il merito, cercare la pappa pronta sui media per risparmiarsi la fatica di cercare le informazioni, sostenere iniziative gia' sostenute dagli inserzionisti, il tutto mentre si lasciano morire di inedia i piccoli editori, le librerie indipendenti, i giornalisti bravi ma sconosciuti.
La biodiversita' culturale e' a rischio oggi piu' che mai, e le iniziative di libera informazione indipendente sono piu' rare oggi che nell'era del ciclostile. Per le iniziative di taglio "medio" gli spazi continuano a restringersi: o resti microiniziativa di nicchia o esplodi come fenomeno di massa. E le tecnologie servono a poco per nascondere i limiti di un'informazione e una cultura fatta di pesi piuma o pesi massimi.
L'unica speranza per risolvere questo problema sei tu che stai leggendo, e che potrai decidere ogni mattina se abbeverarti alle solite e rassicuranti fonti di informazione scambiandole per oracoli di verita', o scoprire il gusto di aprire nuove finestre sul mondo, abbandonando al loro destino i personaggi controversi della Tv anche quando il microfono glielo passa un giornalista che stimi.
Se invece la prospettiva di pensare con la tua testa e' troppo angosciante, il mondo e' troppo complicato e la verita' troppo sfuggente, allora niente paura: fai un respiro profondo, accendi la televisione e punta su La7. Vedrai che sara' tutto piu' rassicurante.
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