Per il Vaticano c'e' suicidio e suicidio
Maurizio Cevenini, persona stimata e politico di spessore, morto l'8 maggio 2012 al termine di un volo di trenta metri, sulle cui ragioni profonde si possono solo fare ipotesi.
Piergiorgio Welby, uomo coraggioso e libero, morto il 20 dicembre 2006 al termine di un lungo e faticoso percorso di sofferenza culminato con una ospedalizzazione durata quasi dieci anni, e l'imprigionamento di una mente lucidissima e volitiva in un corpo ormai dipendente dagli ausili meccanici di cui si e' voluto liberare.
Per la chiesa Cattolica il primo ha avuto diritto ai funerali religiosi, il secondo no.
Tecnicamente sono entrambi suicidi, quindi morti nel peccato, e quindi immeritevoli di benedizione religiosa per le loro esequie. Ma nel caso di Cevenini si e' scelto (piu' che giustamente, a mio avviso) di esercitare quel sentimento di pieta' religiosa e quella "sospensione del giudizio" che spinge i preti a dire l'unica cosa di buon senso in questi casi: "io rispetto la sensibilita' religiosa della tua famiglia accogliendo la richiesta di una celebrazione religiosa, e poi spettera' a Dio giudicarti, perche' Gesu' Cristo ci ha detto chiaramente di non farlo al posto suo".
Ma allora cos'e' che ha fatto la differenza nel caso Welby?
Il vicariato generale di Roma, guidato dal Cardinale Camillo Ruini ha negato il funerale religioso a Welby affermando che "era nota, in quanto ripetutamente e pubblicamente affermata, la volontà del Dott. Welby di porre fine alla propria vita, ciò che contrasta con la dottrina cattolica".
Un contrasto tutto da dimostrare, visto e considerato che Welby non voleva rinunciare alla sua vita naturale, ma ai macchinari artificiali, e questo "contrasto" descritto dal vicariato appare ancora piu' opinabile se ci fermiamo a leggere quello che afferma a chiare lettere la dottrina cattolica:
L'interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all'"accanimento terapeutico". Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente. [Catechismo della Chiesa Cattolica, articolo 2278]
E quindi il problema del caso Welby non fu la violazione di un precetto della Chiesa, ma il fatto che scribi e farisei vaticani si sono arrogati il diritto esclusivo di decidere quello che per Welby era "accanimento terapeutico" e quello che non lo era.
Sono stati loro, e non Welby, a contrastare la dottrina cattolica, arrogando a se' una decisione che il Catechismo non affida ai dottori della chiesa, ma a quel paziente, e che il Vangelo di Cristo affida alla pieta' umana e alla coscienza individuale.
Un paziente che era sicuramente provato nel corpo, ma vivissimo nella coscienza, mentalmente lucido fino all'ultimo istante, e cio' nonostante osteggiato nella sua "ragionevole volonta'" di morire dignitosamente e nel suo "legittimo interesse" di organizzare secondo la sua coscienza, e non secondo la coscienza di Ruini, la fine della sua vita.
Welby non ha negato il Catechismo Cattolico o i principi cristiani che invitano a seguire la verita' della propria coscienza, ma ha negato al Vaticano una autorita' tale da superare il cristianesimo, il Catechismo Cattolico e il proprio libero arbitrio. E questo e' stato il suo "peccato mortale", che il potere religioso non avrebbe mai potuto perdonargli.
Quelli che hanno voluto decidere sulle spalle di Welby, di Cristo e del Catechismo sono gli stessi scribi e farisei vaticani che hanno fatto uscire dal policlinico Gemelli Papa Giovanni Paolo II negli ultimi giorni della sua vita, per celebrarne la santa morte in un luogo appropriato, sottraendolo ad un ambiente clinico per restituirlo al suo ambiente religioso, evitando di accanirsi troppo con le terapie di sostegno.
La vita di Karol Wojtyla sarebbe stata piu' lunga se fosse rimasto al Gemelli? Forse si', anche se di poco, ma nessun Ruini avrebbe mai osato ordinare una intubazione forzata del pontefice, e nessuno si sarebbe permesso di bollare con un marchio di peccato chi ha voluto restituirlo ai suoi fedeli e alla sua vita naturale evitando di prolungare la sua agonia con macchine artificiali.
Il problema, quindi, non e' che Welby volesse "porre fine alla propria vita", ma che la Chiesa Cattolica ha voluto decidere al suo posto se le macchine che lo tenevano in vita artificialmente rappresentavano oppure no un inutile "accanimento terapeutico", termine sterilizzato con cui si indicano delle inutili sofferenze praticate a fin di bene, che in casi estremi qualcuno potrebbe anche considerare torture.
E credo di non discostarmi poi molto dal Catechismo della Chiesa Cattolica se affermo che ascoltando la voce della mia coscienza credo che gli unici autorizzati a fare la differenza tra terapia e accanimento per uno specifico caso di malattia dovrebbero essere le persone che vivono sulla propria pelle quella situazione, o i loro familiari, o chiunque sia esplicitamente autorizzato a decidere dai diretti interessati con una espressione di volonta' chiamata "testamento biologico".
Ma questa espressione di volonta' in Italia non ha ancora un pieno valore legale, perche' i governanti di uno stato straniero cercano di imporre la propria morale e la propria volonta' facendo credere che sia la volonta' di Gesu' Cristo, di Dio, del Vangelo o della dottrina cattolica.
Osservando i pesi tremendi che devono portare le famiglie colpite da gravi malattie, e leggendo le parole di quei "dottori della legge" che hanno invocato presunte violazioni della dottrina, il pensiero corre immediatamente al Vangelo di Luca:
"Guai anche a voi, dottori della legge! Perché caricate gli uomini di pesi difficili da portare, e voi non toccate questi pesi neppure con un dito". (Lc 11,46)
Ma forse, a leggere bene tra le righe, il vero problema non e' la smania di potere clericale, ne' le presunte violazioni della dottrina, ne' il doppiopesismo che in alcuni casi di suicidio spinge la chiesa a invocare delle attenuanti sostenendo che sia venuta meno la "piena avvertenza", cioe' la consapevolezza cosciente di commettere un peccato, condizione indispensabile per essere peccatori.
Forse il problema nel caso Welby e' stato piu' personale, terreno e politico, almeno a giudicare dalle parole sfuggite al cardinale Ersilio Tonini di fronte al microfono di Corrado Formigli su SKY TG24. Secondo Tonini il problema con Welby e' stato che "il suo suicidio è stato concepito e realizzato con l'obiettivo di promuovere una legge sull'eutanasia".
Al di la' di ogni ipocrisia e fariseismo clericale, la pietra dello scandalo e' stata proprio questa: Welby ha fatto un atto squisitamente politico negando alla chiesa, alla politica e alla medicina il diritto di gestire il proprio corpo, la propria malattia, la fine della propria vita. Ha voluto decidere assieme a Mina, e senza nessun'altra interferenza, come gestire la propria vita, anche nella sua fase finale.
Piergiorgio Welby ha voluto vivere e morire da uomo libero, seguendo la sua coscienza, lasciando che il proprio corpo seguisse la sua natura biologica e non la programmazione meccanica di apparati artificiali. E questo desiderio profondamente cristiano, a volte puo' essere davvero un peccato mortale per una gerarchia Cattolica che vorrebbe disporre a piacimento del corpo e delle coscienze altrui.
Ma con i funerali a Lucio Dalla e Maurizio Cevenini, la chiesa di Bologna ha contrastato le omissioni di quella Romana, dimostrato una capacita' di accoglienza, compassione e rispetto ben superiore a quella esercitata nel cuore della cristianita'.
L'Emilia-Romagna, inoltre, detiene il record nazionale di amministrazioni comunali (tra cui lo stesso comune di Bologna ) che hanno istituito i "registri dei testamenti biologici", con cui i cittadini possono esprimere formalmente volonta' sulla gestione del proprio fine-vita, sulle terapie mediche che si accettano come sostegno alla vita e quelle che invece si rifiutano come accanimento terapeutico.
Per questi traguardi di civilta' dobbiamo ringraziare la "buona politica" di Maurizio Cevenini e la testimonianza coraggiosa di Piergiorgio Welby, due persone diverse con percorsi diversi, che hanno vissuto (ciascuno a suo modo) una vita talmente intensa da mettere in secondo piano la loro morte.
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