Beppe Grillo, il libero mercato, l'editoria e i giornali di partito
Sul suo blog, Beppe Grillo ha festeggiato le recenti vicissitudini di alcuni quotidiani parlando di "fine del finanziamento pubblico ai giornali", ma non e' questo che sta accadendo in realta'.
Infatti non e' stato negato il "finanziamento pubblico ai giornali" in generale, ma solo ad ALCUNI specifici giornali, e ad alcune testate che rappresentano aree di pensiero minoritarie che il potere non ha piu' interesse a tutelare. Un'azione giusta diventa un'ingiustizia se colpisce solo alcuni, guarda caso i piu' deboli, e lascia intatti i finanziamenti al giornale di Confindustria, a quello di De Benedetti e a quello di Berlusconi (Paolo o Silvio, cambia poco).
Rimangono intatti anche i finanziamenti a pioggia per i colossi editoriali come la Rizzoli, che pubblica libri di Beppe Grillo. Ma i giganti non si toccano, e dalla casta dei giornali si sta passando alla casta degli editori, che emerge vittoriosa dalla crisi della carta stampata camminando sui cadaveri dei concorrenti piu' deboli.
I casi di Stefano Cucchi e Federico Aldrovandi sono entrati nel dibattito pubblico e successivamente nelle aule dei tribunali grazie al quotidiano Liberazione, con il quale ho avuto il piacere di collaborare, spesso gratis per il gusto di scrivere fuori dal coro su temi come la Tav.
Un giornale che dal primo gennaio forse non ci sara' piu' per i tagli "selettivi" del governo ai finanziamenti per l'editoria e per il suicidio editoriale del partito/spa che controlla il giornale.
Nella vicenda "Liberazione" non voglio minimizzare il ruolo giocato dalla miopia editoriale, dall'ostinazione nel non volersi rinnovare parlando ad un pubblico sempre piu' ristretto di nostalgici e "ultraortodossi", o dall'incapacita' di gestione del partito/azienda/editore. Di queste responsabilita' saranno chiamati a rispondere i dirigenti dei partiti che potevano usare quei fondi per produrre cambiamento sociale e culturale anziche' carriere d'oro per pochi privilegati e bilanci sempre piu' in rosso.
Ma da cittadino e da giornalista, di fronte alla vicenda di Liberazione, non posso essere contento nell'assistere alla chiusura di un giornale che finora ha avuto qualcosa di importante da dire, nemmeno se dietro questo giornale c'e' la piu' scellerata delle dirigenze, il piu' fallimentare dei piani editoriali e il piu' corrotto dei partiti.
Se dobbiamo tagliare i finanziamenti all'editoria, che vadano tutti quanti sul mercato, anche Confindustria che ne predica le virtu' autoregolatrici.
A me il PD sta profondamente antipatico per le sue politiche guerrafondaie e bigotte che non toccano i grandi patrimoni, ma non riesco a gioire se qualcuno stacca la spina al quotidiano fondato da Gramsci. Liberazione ha sospeso i compensi dei collaboratori negli ultimi due anni per la crisi strutturale della testata, ma anche con i limiti del giornalismo "militante" a costo zero ero contento che ci fosse uno spazio dove poter dire cio' che volevo dire, uno spazio dove ho potuto esercitare il mestiere di giornalista con una liberta' di azione e di pensiero che non avrei avuto in nessun altro contesto, sperando che nel frattempo ai piani alti della SpA qualcuno si decidesse prima o poi a fare delle serie politiche editoriali per rimettere in piedi una testata dal grandissimo potenziale.
Non credo in una sanita' e in una scuola completamente affidati al mercato con lo stato che gira la testa dall'altra parte, e non credo neppure in una editoria totalmente affidata alle leggi della domanda e dell'offerta. Ci sono dei settori come il teatro in cui per i quali e' stato provato che il mercato da solo non basta, e se i teatri vivessero solo di biglietti dovrebbero chiudere. Tutti. Anche se in cartellone ci metti Fiorello che fa Karaoke col Dalai Lama. Sono convinto che l'editoria sia un altro di questi delicatissimi settori culturali che non puo' essere abbandonato al rapporto tra imprenditori e clienti, ma va gestito collettivamente dai cittadini nell'interesse di tutti.
Per questa ragione resto perplesso di fronte a chi applaude quando chiudono dei giornali e spariscono delle risorse destinate all'editoria, per quanto cattiva fosse la gestione di queste risorse, perche' la soluzione alla disinformazione non e' far sparire i giornali dalle edicole, magari per destinare alle missioni militari quello che si risparmia nei sussidi alla stampa. La soluzione e' gestire meglio le risorse che finora hanno fatto arricchire i Ciarrapico, i Caltagirone, i De Benedetti e i Berlusconi, per fare in modo che la realta' editoriale rispetti il piu' possibile i principi di pluralismo stabiliti dalla costituzione, e non soltanto i principi di libera concorrenza stabiliti da Adamo Smith.
Grillo ha proposto la sua soluzione liberista a questo problema complesso: affidiamo la cultura e l'editoria al mercato. Ma da una prospettiva umanista non si puo' fare a meno di notare che questo mercato e' gia' profondamente turbato da posizioni dominanti che penalizzano la biodiversita' culturale, dove sopravvive chi ha piu' soldi, chi ottiene piu' visibilita', chi va in televisione o chi c'e' stato in passato, chi ha gia' una massa di pubblico al seguito, e non necessariamente chi propone contenuti migliori.
Osservare un governo che taglia le risorse all'editoria anziche' riorganizzarle non e' cosa di cui essere lieti. Le proposte alternative al "tanto peggio, tanto meglio, chiudiamo i finanziamenti e andiamo tutti sul mercato" potrebbero essere tante, ad esempio un limite temporale ai finanziamenti che moltiplichi le iniziative editoriali aiutandone l'avvio per i primi tre anni, e poi se hai lavorato bene riuscirai a stare in piedi grazie al rapporto che hai saputo creare con i lettori, quei lettori che lo stato ti ha aiutato ad incontrare aiutandoti a superare le fortissime barriere all'entrata del settore editoriale.
Altre proposte sono quelle che abbiamo lanciato gia' nel 2008 con la campagna "Informazione Pulita":
- Chiedo che in Italia i finanziamenti alle imprese editoriali siano stabiliti dai cittadini in base a indicazioni espresse nella dichiarazione dei redditi con un meccanismo simile a quello del cinque per mille. Voglio decidere io quale quotidiano, associazione culturale, casa editrice o rivista indipendente saranno sostenuti con i soldi delle mie tasse.
- Chiedo che l'accesso all'Ordine professionale dei Giornalisti venga aperto a tutti coloro ne facciano richiesta praticando a qualunque titolo e con qualunque mezzo l'attivita' giornalistica. Voglio che la condizione di giornalista sia un serio e vincolante impegno professionale che chiunque puo' contrarre liberamente, e non l'appartenenza ad un gruppo chiuso e privilegiato.
- Chiedo che le cariche direttive all'interno della Rai vengano determinate con elezioni pubbliche e aperte a tutti i cittadini, e non in base alle indicazioni dei partiti. Voglio che le persone responsabili della produzione e del controllo dell'informazione pubblica siano espressione di un sistema democratico e non pedine sulla scacchiera del potere.
Ma oggi purtroppo la complessita' dei ragionamenti non ha vita facile nel frenetico scontro di idee della politica/spettacolo, e di fronte a questo intricato groviglio di problemi il pubblico si dividera' in due: quelli che applaudiranno ad ogni giornale che chiude e quelli che vorrebbero mantenere tutto com'era fino ad oggi.
Io invece mi proietto in un mondo nuovo, diverso dal deserto culturale e dal regno delle caste editoriali: se un altro mondo e' possibile. lo e' anche un'altra editoria. Un'editoria dove lo stato rende ogni cittadino uguale a De Benedetti sostenendo progetti innovativi nati dal basso. Un'editoria dove i soldi delle mie tasse non vanno in tasca ai giornali che disprezzo, ma posso decidere liberamente quale testata finanziare indicandone il codice fiscale sul mio 740. Un'editoria dove le piccole testate sono piu' tutelate dei grandi gruppi editoriali dove si concentrano anche fortissimi interessi politici e finanziari.
Un'editoria dove la tendenza tutta italiana a fare massa anche all'alternativa sia contrastata dal fiorire di mille iniziative "fuori mercato" sostenute da quelle stesse risorse che oggi permettono a Confindustria di restare in Edicola con misure assistenziali, camminando sui cadaveri di quotidiani sicuramente controllati da partiti allo sfascio che non meritano le tonnellate di quattrini ricevute finora, che hanno pero' avuto il merito di consentire l'espressione di idee, culture, minoranze, orientamenti e pensieri che faranno sempre piu' fatica a trovare spazio nelle edicole, dove certe idee verranno espulse dagli scaffali cosi' come sono state gia' espulse dal parlamento.
Per ogni quotidiano di partito che chiude, si potrebbero aprire cento riviste di movimento, di area o di settore che potrebbero camminare con le proprie gambe dopo due o tre anni di sussidi governativi simili a quelli che raggiungono i piccoli teatri di provincia. Ma oggi la casta dei giornalisti ci ha fatto talmente incazzare che non ci va piu' di ragionare, e preferiamo svuotare le edicole anziche' riempirle di pluralismo. Qualcuno ci aiuti a ricordare chi e' che bruciava i libri.
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