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Un ragazzo, una protesta, una scelta di vita

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La rabbia e la speranza di un ragazzo che amava la sua terra. La storia di Giuseppe, il ventenne di Campobello di Licata che ha affrontato "il pregiudicato Sgarbi" con una telecamera, due amici e un pacco di volantini.
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12 febbraio 2011 - Carlo Gubitosa

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Frontiere digitali

De Martin, l'Agcom e la legittimita' del diritto d'autore.

Nel dibattito sul copyright la forza delle lobbies e' legittima o no? Confronto di opinioni tra Carlo Gubitosa, autore di "elogio della pirateria" e Juan Carlos De Martin, leader di Creative Commons Italia.
3 agosto 2011 - Carlo Gubitosa

No copyright

Il bravissimo Juan Carlos de Martin, docente al Politecnico di Torino e leader di Creative Commons Italia, ha pubblicato un intervento molto acuto e interessante sulla newsletter AgCom dedicata al diritto d'autore.
Tralasciando i complimenti per i contenuti e i principi (molti e validi) sui quali mi considero in sintonia con lui, non posso fare a meno di rilevare alcuni dettagli (pochi ma fondamentali) che non mi convincono del tutto:
Secondo De Martin "un'opera - per esempio un blog - prodotta oggi da un ventenne verrà tutelata fino a 70 anni dopo la sua morte (...) andava forse bene per Disney in passato (...)"

Per me invece non andava bene nemmeno per Disney in passato
, perche' il diritto d'autore ha lo scopo di stimolare l'innovazione, e l'estensione a 70 anni e' stata disposta negli USA con effetto retroattivo quando si avvicinava la scadenza dei 50 anni, con il cosiddetto "Mickey Mouse protection Act". (Cfr http://en.wikipedia.org/wiki/Copyright_Term_Extension_Act )

L'effetto retroattivo non porta alcun beneficio sulla collettivita'
: 50 anni prima di quella disposizione nessuna innovazione poteva essere stimolata da quell'atto, a meno di non avere facolta' divinatorie per poter dire "sono piu' incentivato a creare opere dell'ingegno perche' so che prima o poi qualcuno mi dara' il monopolio dello sfruttamento economico dell'opera per 70 anni e non per il tempo previsto dalla legge attuale". E' stato un regalo alle lobbies del cinema senza nessuna contropartita per i cittadini. E le leggi si fanno nell'interesse dei cittadini.

E se la progressiva estensione del copyright con effetto retroattivo non ha mai portato alcun beneficio alla collettivita', quei 70 anni di durata del copyright non andavano bene nemmeno prima, in quanto risultato di una forzatura legislativa figlia di pressioni lobbistiche.
In un passaggio successivo, De Martin elenca le forze in gioco sul terreno del diritto d'autore:
  • 1. la forza (legittima) di chi beneficia del vecchio sistema e che quindi ha interesse a prolungarlo il più possibile;
  • 2. la forza (legittima) di chi beneficierebbe di un eventuale nuovo sistema e ha quindi tutto l'interesse di favorirne la nascita;
  • 3. la forza (legittimissima) di chi vuole - e, in certi casi, deve per mandato istituzionale - plasmare le norme per massimizzare il bene comune
Credo che l'esercizio della "forza di chi beneficia del vecchio sistema" sia COMPRENSIBILE, come e' comprensibile l'avidita' umana e la tendenza a mantenere i privilegi acquisiti, ma comunque non considero questa forza come LEGITTIMA, perche' il diritto d'autore non e' un diritto naturale associato alla persona come il diritto alla salute, ma un diritto riconosciuto nell'interesse della collettivita' per stimolare una maggiore creazione di opere dell'ingegno.

L'interesse da tutelare non e' l'interesse particolare di pochi beneficiati che vorrebbero tassare anche le musichette negli ascensori, ne' quello dei gruppi organizzati che vorrebbero poter riprodurre e vendere opere dell'ingegno digitali gia' dal giorno successivo alla loro uscita senza avere grane legali, magari invocando il diritto alla libera iniziativa d'impresa senza lacciuoli governativi.

L'unico interesse che personalmente considero legittimo in questo dibattito e' l'interesse collettivo di tutti i cittadini
 che esercitano il diritto di accesso all'arte e alla cultura, sia in forma onerosa (come avviene nei negozi) sia in forma gratuita (come avviene nelle biblioteche), in entrambi i casi senza negare agli autori il diritto ad avere il monopolio sullo sfruttamento economico della loro opera per un tempo ragionevole.

I diritti di cui parlo non sono diritti vaghi, non formulati, o "nuovi diritti"
 che vanno proclamati nell'era digitale per considerare il cambiamento delle tecnologie, ma diritti dello scorso millennio proclamati nella Dichiarazione Universale dei Diritti umani, dove all'articolo 22 si stabilisce che "ogni individuo in quanto membro della società, ha diritto (..) alla realizzazione (...) dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità". (grassetto mio), dove all'articolo 27 si stabilisce che "ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico ed ai suoi benefici", e all'articolo 19 (che sembra scritto apposta per internet, anche se all'epoca non esisteva ancora) stabilisce per ogni individuo il diritto universale e inalienabile "di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere".

La stessa Dichiarazione Universale dei Diritti umani non contempla per gli autori di produzioni scientifiche, letterarie e artistiche il diritto di mandare in galera chiunque acceda alle loro opere gratuitamente (ad esempio leggendole in una biblioteca, ascoltandole alla radio, guardandole in televisione su un canale in chiaro oppure - orrore! - scaricandole da Internet) ma al secondo comma dell'articolo 27 stabilisce che gli unici interessi degli autori da tutelare sono quelli "morali" (come l'attribuzione della paternita' dell'opera) e "materiali" (come il diritto ad un monopolio temporaneo sullo sfruttamento economico dell'opera fino a quando le norme di legge non la collocano nel pubblico dominio).

Il faro luminoso della dichiarazione universale dei diritti umani mette in ombra tutte le smorte lampadine private, lobbistiche e corporative
 dei gruppi intenzionati a usare "la forza di chi beneficia del vecchio sistema e che quindi ha interesse a prolungarlo il più possibile", per riprendere le parole di De Martin.

E' per questo che l'unico interesse che mi sta a cuore e' quello dell'intera collettivita', e non di alcuni gruppi finalizzati al lucro "artistico" o a quello "illegale", e l'unica forza che considero legittima e' quella che si svolge all'interno del processo democratico, e non con pressioni lobbistiche dal sapore leggermente eversivo e antidemocratico.

Pressioni simili a quelle che sotto il governo di centrosinistra a guida D'Alema hanno portato ad approvare la legge 248/2000
, che ha riformato il diritto d'autore sostituendo la parola "profitto" al termine "lucro", col risultato di criminalizzare come reato penale non solo il lucro di chi vende illegalmente copie non autorizzate, ma anche il risparmio che si deve al mancato acquisto di un'opera (che del resto avviene anche quando si accede a quell'opera tramite una biblioteca).

Se partiamo dal principio che l'unica forza legittima in questo processo e' quella del processo democratico, la mia convinzione e' che se solo si desse la possibilita' ai cittadini (autori o potenziali autori, ma comunque cittadini liberi e uguali) di esprimere la loro opinione tramite una legge di iniziativa popolare, sono convinto che una maggioranza di cittadini molto vicina all'unanimita' sarebbe concorde nel considerare 10 anni, o al massimo 20 se proprio vogliamo restare larghi, come un periodo di tempo ragionevole (soprattutto nella velocissima era del digitale) per esercitare il legittimo monopolio sullo sfruttamento commerciale dell'opera, e che dopo questo intervallo di tempo (ma per me anche da subito) dovrebbero essere considerate legittime tutte le forme di utilizzo di quell'opera che escludono uno sfruttamento economico anche indiretto.

Non a caso nell'articolo si indica come "legittimissima" la forza "di chi vuole - e, in certi casi, deve per mandato istituzionale - plasmare le norme per massimizzare il bene comune", e si dichiara che in una democrazia non puo' che essere questa forza a gestire il cambiamento.
La differenza di vedute tra me e De Martin non sta nel riconoscere quello che per me e' legittimo e per lui e' "legittimissimo", ma si manifesta al momento di decidere se e' legittima o meno la forza di chi vuole mantenere lo status quo beneficiando di una rendita di posizione. Io considero queste forze assolutamente illegittime, se non addirittura eversive nel momento in cui piegano l'interesse di 60 milioni di cittadini all'interesse di poche decine di notabili della SIAE o della BSA, che spesso non coincidono con gli interessi dei programmatori di software (che perdono la proprieta' intellettuale del codice sviluppato all'interno delle aziende) o degli autori SIAE (la cui maggioranza paga quote di iscrizione, percentuali sui concerti e altri oboli, senza ricevere nulla in cambio e andando a ingrossare il "tesoretto" che viene spartito tra pochissimi artisti "big").

Capisco che le mie sono posizioni abbastanza "eretiche" e "radicali"
, anche se io le considero logiche, democratiche e ragionevoli, e che il ruolo di interlocutore con le istituzioni (in questo caso l'AGCOM, che era destinataria di questo contributo scritto da De Martin) puo' richiedere di passare dal "bianco e nero" alle sfumature di grigio, prendendo una grandezza binaria come la legittimita' (che esiste o non esiste) e trasformandola in una variabile continua, per cui oltre alle cose legittime e illegittime compaiono anche le cose "legittimissime", lasciando a chi legge il compito di dedurre che quelle semplicemente "legittime" hanno in realta' una minore legittimazione.

L'ultimo punto di disaccordo riguarda quella che io definisco "l'esca di Itunes", e che puo' essere sintetizzata con questo concetto: "se ti butti nel mondo digitale, la gente ti paghera' un euro a canzone anziche' 20 euro a cd, e farai un sacco di soldi se sarai capace di seguire il cambiamento delle tecnologie". De Martin accenna a questa attrattiva spiegando che con un cambio di mentalita' e di modelli economici "il nuovo sistema riserverebbe comunque amplissimi spazi per l'iniziativa di intermediari di vario tipo".

Sicuramente quella delle "dogane digitali" con intermediari che incassano quattrini ad ogni scambio di files, e' sicuramente una valida prospettiva da porgere alle aziende. Ma quell'articolo non e' stato scritto per "evangelizzare" lobbies commerciali spiegando le opportunita' di guadagno che avrebbero se fossero un po' piu' sveglie e meno repressive. Quel testo era rivolto ad una istituzione pubblica, e non a un cartello di imprese.

E quando il mondo della rete cerca di comunicare col mondo delle istituzioni, non e' tanto importante lanciare esche alle lobbies dipingendo prospettive di guadagno (per quanto realistiche possano essere), ma far capire a chi gestisce la cosa pubblica che il modello degli "intermediari intelligenti" pronti a cavalcare la rivoluzione digitale per garantire i diritti materiali degli autori, non puo' proporsi come sostitutivo o alternativo al modello dei "liberi cittadini", che continueranno a fare quello che abbiamo fatto sin dai tempi delle musicassette a nastro: condividere musica con gli amici, prestare libri, portare film a casa di altre persone anche quando la SIAE considera questa pratica come una "visione pubblica non domestica" e pertanto proibita anche se hai legittimamente acquistato quel film.

Se qualcuno guarda ad Internet come al piu' grande mercato del mondo, non puo' obbligare ai suoi voleri chi guarda alla rete come alla piu' grande biblioteca pubblica che l'umanita' abbia mai avuto a disposizione
, e considera il download di un film alla stregua del prestito gratuito di un DVD praticato da moltissime biblioteche italiane.

I nodi da sciogliere con un deciso intervento culturale dal basso che contrasti l'azione dall'alto delle lobbies sono molti: negare il presunto "diritto" alla criminalizzazione degli scambi culturali, ridefinire e attualizzare i limiti temporali del diritto allo sfruttamento economico delle opere d'ingegnoproibire ogni intervento retroattivo di estensione del diritto d'autore che non crea maggiore innovazione nel passato e mette a rischio il nostro futuro culturale, affermare modelli economici che non mandino gli autori sul lastrico ne' gli utenti in galera, affrontare con fermezza il problema dello sfruttamento commerciale illegale, tollerato nei banchetti e nelle strade con molta piu' benevolenza di quella riservata in rete agli utenti che condividno materiali senza lucro.

Auguro buon lavoro a De Martin e a tutti i "diplomatici" del diritto d'autore
, che nel loro ruolo di "ambasciatori della frontiera digitale" devono avvicinarsi ai loro interlocutori parlando un linguaggio facilmente comprensibile, facendo un passo alla volta, senza strappi e con la consapevolezza che i cambi di mentalita' sono sempre graduali.

Nel frattempo, pero', vorrei che si muovesse qualcosa di piu' concreto anche "dal basso", con una rivendicazione di diritti umani universali che sia piu' consapevole e cosciente della debole retorica giustificazionista del "se abbassassero i prezzi dei CD magari li comprerei".

Sarebbe ora che qualcuno cominciasse a dire "anche se abbassassero i prezzi dei CD avrei comunque il diritto di accedere alla cultura e all'arte, e posso esercitarlo senza violare il diritto degli autori di essere gli unici a fare soldi con le loro opere".

Il "partito pirata" non ha avuto in Italia il seguito e l'impatto dimostrato in altri paesi europei, ma questo non impedisce ai movimenti sociali e politici viola, arancioni o a cinque stelle di arricchire la loro agenda con i temi dell'accesso alla cultura, finora confinati nell'area della "pirateria", nel cosidetto "antagonismo" o nel mondo oscuro dell'"hacking".

Ma scambiare cultura con gli amici e' un fatto di civilta' e progresso per tutti, e non una rivendicazione criminale di pochi.
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