La valle si ribella PARTE 5: CRONACHE DAL FRONTE
Parte V - 3 luglio, pomeriggio: Cronache dal fronte
Quando arrivo alla centrale elettrica le dinamiche sono chiare: c'è un gruppo di persone che vuole invadere un territorio presidiato, mentre un altro gruppo vuole rispettare gli ordini ricevuti e tenere gli "invasori" a distanza, disperdendoli con lacrimogeni e idranti.
Ma le similitudini con i Black Bloc e gli scontri di Genova del 2001 attorno alla "Zona rossa" finiscono qui.
A Genova sono state lanciate molotov, alla centrale di Chiomonte non ne ho viste, e men che meno ho visto lanciare le "biglie, tondini di ferro, pietre, bottiglie piene di ammoniaca e bombe carta imbottite di bulloni" menzionati nei comunicati Digos. Magari li avranno lanciati altrove, a Giaglione o in qualche altro luogo di scontri, questo non posso dirlo. So solo che allo sbarramento della centrale elettrica non ho visto lanciare nessuno di questi oggetti. Soltanto le pietre raccolte sul greto del fiume.
A Genova sono state distrutte macchine più o meno di lusso, bancomat e altri "simboli del capitale", a Chiomonte, per quanto ne so, le uniche cose danneggiate sono state le barriere difensive e non ho visto nemmeno una scritta con lo spray sui muri, neppure una cartaccia gettata per terra.
Le foto degli scontri alla centrale non rendono conto della situazione nel suo complesso: basterebbe allargare l'orizzonte delle inquadrature per vedere chi c'era letteralmente "dietro i Black Bloc" su quei prati: un popolo fatto di anziani, cittadini indignati, e "normalissimi" attivisti, quelli che ci fanno tanto comodo quando lavorano gratis nelle ambulanze e nelle associazioni, e che qualcuno vorrebbe etichettare come "facinorosi" quando pretendono di ragionare sulle politiche di sviluppo del loro territorio.
Mentre scattavo questa foto, a pochi metri di distanza infuriavano gli scontri sul ponte della centrale elettrica, ma questa gente non e' scappata via: ha scelto di sostenere l'assedio con la sua presenza fisica. Guardateli in faccia, e ditemi se lo stato non potrebbe scegliersi nemici diversi da questa gente e dalle loro varianti piu' giovani e incazzate.
E per un paio d'ore dietro i "black bloc" ci sono stato anch'io, scattando foto degli scontri, osservando attorno a me ragazzi e ragazze molto giovani e arrabbiati, provando sulla mia pelle l'effetto dei lacrimogeni che si dovrebbe far sperimentare direttamente a chiunque voglia utilizzarli in operazioni di ordine pubblico, fino a confermare nel modo più diretto (e doloroso) il lancio ad altezza d'uomo di gas CS (proibiti in guerra come arma chimica, ma legittimi per "usi civili"). Nella stessa raffica di lacrimogeni che mi è costata una camicia e un livido sul braccio, un altro ragazzo viene colpito in testa, e il servizio medico presente sul posto gli ha applicato sul momento due punti di sutura.
Nell'area attorno alla centrale elettrica incontro anche tante persone conosciute alla veglia di preghiera del giorno precedente. A differenza del G8 di Genova, dove il mondo cattolico si era mosso "a compartimenti stagni" con una iniziativa "alternativa" ai cortei, questa volta la "zona rossa" del potere è stata assediata anche da capi scout, educatori e ragazzi che vogliono scrivere la storia da cittadini e non subirla da sudditi.
Non tireranno pietre e non parteciperanno agli scontri fisici, ma li vedrò resistere in mezzo ai lacrimogeni lanciati dalla centrale elettrica, perché hanno deciso da che parte stare e quali strumenti utilizzare. Ma le loro lacrime, il bruciore della loro pelle e tutta la fatica fatta da questa gente per mantenere l'assedio in modo pacifico non compariranno nei bollettini medici dei media ufficiali, che riporteranno fedelmente solo i dati delle questure.
Sono rimasto nell'area della centrale elettrica fino alle cariche finali che hanno portato allo sgombero della zona: quando il lancio di gas si è fatto più intenso un altro flashback del G8 mi ha spinto ad allontanarmi e a ritornare indietro per ritornare al campo sportivo. Il passaggio obbligato da fare per venir via dalla centrale e' una stradina stretta, senza vie di fuga e già occupata da centinaia di persone, in una situazione simile all'imbuto di via Tolemaide dove sono esplosi gli scontri culminati con la morte di Carlo Giuliani e avviati proprio con una pioggia di lacrimogeni su un corteo pienamente autorizzato. Questa foto puo' dare un'idea della situazione, al netto del bruciore dei lacrimogeni, della calca, della rabbia e della frustrazione che si respiravano nell'aria. (Clicca sulla foto per ingrandirla)
La folla e' una brutta bestia, e in questi casi basta davvero poco per scatenare una ondata di panico con effetti imprevedibili: l’istinto primordiale di scappare per mettersi in salvo si innesca anche a costo di calpestare gli altri. Stavolta questa situazione si e' conclusa nel migliore dei modi, ma a queste condizioni la militarizzazione del territorio rischia di protrarsi per anni, e c'è davvero da chiedersi se valga la pena di correre tutti i rischi che ne deriveranno.
Lo scontro di Chiomonte è lo specchio di una crisi di legittimità: da una parte c'è un governo eletto con una legge porcata, e un parlamento cooptato dalle segreterie di partito che si proclamano legittimi esecutori della volonta' popolare, dall'altra un popolo che considera legittimo esercitare il proprio diritto all'autodeterminazione e illegittimo qualunque potere che voglia impedire alla valle di decidere da sola il proprio destino.
Da questo punto di vista, la mia impressione è che non solo i "soliti estremisti", ma anche molte persone per bene, messe di fronte alla crisi di legittimità del governo, hanno messo in discussione uno dei principi su cui si basa la convivenza civile, e cioè il monopolio dell'uso della forza riconosciuto alle forze di polizia.
Sono in molti a pensare che chi agisce per il recupero di quei territori a beneficio di tutti ha una legittimazione popolare maggiore di quella che si dovrebbe riconoscere a chi difende militarmente terre occupate su ordine del governo, per tutelare gli interessi delle imprese legate alla TAV.
Chi ha fatto considerazioni simili, augurandosi che i territori fossero liberati (con le buone o le cattive, ma comunque liberati e restituiti alla valle) dai presidi polizieschi, va espulso d'ufficio dalla lista delle persone perbene? Secondo me no, perché così facendo non diminuiranno di certo le tensioni sociali.
Il problema della violenza ci porta al problema dell'uovo e della gallina, perché potremmo dire che la pioggia di lacrimogeni è stata la risposta al tentativo di violazione degli sbarramenti, l'attacco alle barriere è stata la risposta a una invasione militare dalla dubbia legittimità legale (quei terreni erano stati regolarmente assegnati a privati cittadini e sgomberati senza rispettare le procedure corrette), a sua volta l'invasione militare è stata la risposta all'azione squisitamente nonviolenta di acquisire con mezzi legali terreni per rallentare i lavori, e l'acquisizione di terreni è stata una risposta a decisioni piovute dall'alto senza coinvolgere le popolazioni locali, con 23 sindaci su 46 contrari a quei lavori. E si potrebbe continuare.
Ma allora, senza pretendere di stabilire una volta per tutte chi ha covato l'uovo della violenza, chi ha la responsabilità morale, civile e politica di interrompere questo circolo vizioso di cause e di effetti? Ai politici basta indignarsi con Grillo se parla di "guerra civile", oppure credono di dover fare qualcosa per evitare che lo scontro degeneri dando ragione a Grillo?
Chi dovrebbe intervenire responsabilmente per risolvere questo conflitto sociale? Un gruppo di ragazzi incazzati per una situazione che vivono come un abuso? Oppure i politici che hanno la responsabilità di guidare il paese e che potrebbero far cessare d'incanto gli scontri semplicemente appoggiando un referendum consultivo per sottomettersi alla volontà del popolo sovrano, oppure inventandosi modi più onesti, utili e ragionevoli di utilizzare il denaro pubblico e i fondi europei?
Per le soluzioni a questi problemi ognuno dia le sue risposte e faccia la sua analisi, io però ho provato a fare una sintesi degli eventi che sia il più possibile attinente alla realtà e scevra da quelle "mitologie dell'ordine pubblico" già utilizzate dalla Digos prima dei fatti di Genova per dipingere un "nemico" come se fosse un'associazione a delinquere internazionale organizzatissima, armata fino ai denti e finalizzata a sovvertire l'ordine costituito.
Il termine "black bloc", per come è stato usato e abusato finora dalla stampa, è diventato una di quelle etichette jolly per definire un fenomeno che non si riesce a capire, un pò come il termine "no-global": un altro grande calderone semantico capace di contenere il prete missionario, l'attivista per i diritti umani, il militante altermondialista e il frequentatore dei centri sociali.
Le generalizzazioni e le demonizzazioni non fanno bene a nessuno, e aumentano il livello di scontro. Di sicuro leggeremo ancora della "tremenda minaccia dei Black Bloc. Ma la mia scommessa, che non avrò mai il modo di verificare, è che se domenica fosse stato concesso ai ragazzi incazzati di entrare in quelle terre, quei presunti terroristi non avrebbero ucciso nessuno, nè proclamato un cambio di regime: si sarebbero semplicemente accontentati di accamparsi su quei prati e festeggiare fino all'alba, come hanno fatto i cittadini di Scanzano Jonico quando hanno cacciato dalla loro terra un governo che voleva trasformarla nella pattumiera nucleare d'Italia.
E qui potremmo chiederci: se oggi si protestasse in qualunque parte d'Italia bloccando la statale come fu fatto a suo tempo a Scanzano Jonico, ci sarebbe di nuovo una marcia indietro del governo e una soluzione pacifica, oppure arriverebbero i blindati a gassare i cittadini, con le prevedibili reazioni?
Quello che viene descritto come un problema di ordine pubblico locale, per me e' il problema collettivo di una democrazia in crisi.
(V - FINE)
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