Perche' i problemi dell'informazione sono sempre altrove?
Alla cortese attenzione di Gigi Sullo e della redazione di "Carta"
E P.C. a Roberto Natale - Presidente FNSI
Carissimi e stimati colleghi,
Da giornalista precario e freelance ho letto con attenzione sull'ultimo numero di "Carta" l'inchiesta firmata Mangini e Todescan, e titolata in copertina "Giornalisti Precari. La ribellione dei refusi, i super-sfruttati dei media". L'impressione, se mi perdonate l'ossimoro, e' stata quella di una "approfondimento superficiale" che ha sollevato varie questioni senza pero' trovare il coraggio di affondare il bisturi nella piaga ormai incancrenita dei problemi dell'informazione.
Dopo aver letto un'inchiesta, di solito si ottengono valide risposte. Io pero' rimango con tante domande in sospeso, e provo a condividerle.
1) Nell'intervista realizzata da Mangini, Roberto Natale parla di una iniziale disattenzione del sindacato unitario verso il problema dei freelance, con un recupero che "e' avvenuto innanzitutto sul piano culturale, quando abbiamo iniziato a parlare di 'giornalismi' e non di 'giornalismo' al singolare". A quando la coniugazione plurale anche per il contratto di lavoro? Ce ne vorrebbe almeno un altro per tutelare i freelance, visto che quello attuale non li nomina nemmeno.
Infatti nel contratto firmato dalla FNSI il 26 marzo 2009 la figura del freelance e del collaboratore precario e' completamente assente, e si stabiliscono solo le regole per i giornalisti che prestano "attivita' giornalistica quotidiana con carattere di continuita' e con vincolo di dipendenza", mentre il resto dei giornalisti (che poi produce la maggior parte dei contenuti) viene abbandonato alla libera (o meglio "neolibera") trattativa privata.
Perche' il sindacato che ora mostra la schiena dritta nelle interviste non ha fatto altrettanto nella trattativa per il rinnovo del contratto, accontentandosi di tutelare solo i gia' tutelati? Perche' "Carta" non ha chiesto conto di come si e' potuti arrivare a rendere contrattualmente "invisibili" i precari dell'informazione, oggetto dell'inchiesta? Mi chiedo anche come mai non sono state approfondite le dinamiche interne di potere della FNSI, che malgrado le buone intenzioni di Natale hanno portato ad un contratto "di casta". Un contratto ratificato dalla base solo a firma gia' avvenuta, con un referendum che ha chiamato a votare anche i tutelatissimi pensionati, mentre ha negato il voto ai precari iscritti all'albo ma non iscritti agli istituti di previdenza, magari perche' non raggiungono i minimi di reddito previsti per l'iscrizione, o perche' lavorano in nero.
2) Visto che stiamo coniugando le cose al plurale a partire dal giornalismo, perche' Natale e la FNSI non provano a coniugare al plurale anche la parola "sindacato"? Visto il "ritardo" della FNSI ammesso dallo stesso Natale nell'affrontare l'emergenza precari, si e' costituita nel giugno 2009 una organizzazione sindacale autonoma (USGF, Unione Sindacale Giornalisti Freelance). Nessuno finora ha chiesto alla FNSI come mai non vuole che il dissenso dei precari si esprima fuori dal "sindacato unico", e perche' ha negato il suo riconoscimento all'USGF come "organismo di base" collegato alla FNSI e ad essa organico. In fondo si chiedeva qualcosa di simile a quell'USIGRAI di cui Natale e' stato segretario e che ha un mandato sindacale specifico a tutela del servizio pubblico televisivo come organismo di base all'interno della FNSI. Perche' chi lavora in Rai puo' avere una struttura dedicata ai propri problemi e organica alla FNSI mentre ai precari viene negata?
La vicesegretario Nazionale FNSI Daniela Stigliano, responsabile del "Dipartimento lavoro autonomo" ha motivato la bocciatura dell'USGF affermando che "il Sindacato ha il dovere di tenere veramente tutti al suo interno, pur assicurando reale e piena rappresentanza ai colleghi freelance. Al contrario, l'ipotesi di un organismo di base potrebbe portare addirittura ad un parallelismo tra due soggetti".
Non penso che la Stigliano sia cosi' ingenua da pensare che l'USGF decidera' di sciogliersi di fronte a questo diniego, o che si lascera' fagocitare all'interno della velleitaria "Commissione sul Lavoro autonomo" istituita all'interno di quella stessa FNSI che ha firmato il "contratto degli invisibili". E' invece probabile che l'organismo di base continuera' comunque la sua azione perche' non si riconosce in quella commissione, il cui Presidente e' "nominato" dalla Giunta Esecutiva della FNSI (quella che firma i "contratti senza freelance e senza precari") e non democraticamente eletto dalla base degli iscritti.
E allora i problemi di "parallelismo", denunciati dalla Stigliano, che poi sono i problemi del conflitto tra varie generazioni di tutelati in redazione e una nuova generazione di sfruttati a casa, non si sarebbero risolti meglio riconoscendo diritto di cittadinanza all'interno della FNSI ai precari freelance autoorganizzati nell'USGF, anziche' obbligare i colleghi a scegliere quale delle due organizzazioni sostenere?
3) Perche' il conflitto interno alla categoria professionale e al sindacato non e' stato rappresentato ai lettori di "Carta", offrendo un quadro semplificato di battaglia "FNSI contro editori"? Perche' l'USGF non e' stata neppure menzionata nell'inchiesta, e si e' preferito sottolineare il "folklore" di altre azioni di protesta?
Senza nulla togliere alle buone intenzioni dei combattivi freelance del Veneto di cui si e' largamente parlato nell'inchiesta, sembra poco efficace aggiungere all'umiliazione professionale subita dagli editori anche l'umiliazione simbolica di calarsi le braghe in piazza restando in mutande, per quanto questa auto-umiliazione possa essere mediaticamente efficace per attirare l'attenzione sulla questione.
I problemi del precariato nascono sempre altrove, o vanno guardati in faccia anche all'interno della categoria? I compensi umilianti nascono solo dallo strapotere di chi sfrutta o anche dal peso politico e sindacale degli sfruttati prossimo allo zero? Per uscire dal degrado del lavoro giornalistico autonomo, che si traduce nel degrado dell'informazione, della cultura e in ultima analisi della liberta' intellettuale del Paese, non si dovrebbe affrontare anche la complessita' dei conflitti legati all'azione, o meglio alla "non azione" del sindacato unitario? Si puo' discutere apertamente di una azione sindacale che sul fronte contrattuale "lascia in mutande" i freelance (e non a livello simbolico) quando di tratta di accordarsi con gli editori, mentre sul fronte interno non trova accordi ed espelle, fagocita, disconosce o uccide sul nascere gli organismi di base nel momento in cui si propongono come alternativa al "monolito sindacale"?
4) Nell'inchiesta di "Carta" si stigmatizza in una infografica la cifra di 25 euro lordi come compenso risibile dei collaboratori esterni, che a volte scende anche a 15. Senza menzionare casi specifici vista la larga diffusione del fenomeno, per esperienza diretta mi risulta che tali tariffe sono in linea con quelle correntemente praticate anche da molta informazione "di sinistra" e in molta stampa di "movimento", dove tra l'altro si fa frequentemente ricorso anche a lavoro non retribuito. E' un problema da approfondire?
Nelle foto collegate all'inchiesta si fa riferimento anche alla legge 231/02, che stabilisce l'obbligo di pagamento entro trenta giorni dalla prestazione, vale a dire nel caso giornalistico entro trenta giorni dall'invio del pezzo in redazione. Sempre per esperienza diretta, e sempre come abitudine diffusa senza particolari eccezioni, a me risulta che questa legge sia sistematicamente violata anche e soprattutto nell'informazione culturalmente orientata verso le categorie piu' deboli, e che la norma sia di vari mesi di attesa per i pagamenti, con casi non rari in cui i compensi per i collaboratori precari sono erogati anche a un anno di distanza dalla prestazione. E' una valida pista di indagine?
Ancora una volta, la colpa e' sempre altrove? Il problema sono soltanto i grandi padroni, i "berluschini" tipo Ciancio o Caltagirone, o i conti vanno fatti anche con la pratica corrente del "giornalismo militante" di alleggerire i costi sempre a partire da chi e' meno tutelato, con quel "caporalato a danno dei colleghi piu' esposti" menzionato anche da Roberto Natale?
Si puo' cominciare a ragionare di riviste italiane come si ragiona di caffe' colombiano? Siamo in grado di far capire ai lettori/cittadini che in modo analogo a quello che facciamo comprando caffe' piu' caro, ma piu' equo, nelle botteghe del mondo, bisognerebbe accettare "culturalmente" prezzi di copertina piu' alti come condizione indispensabile per salvare il sommerso degli sfruttati, dei non pagati, dei pagati dopo un anno?
In alternativa, abbiamo il coraggio necessario per mostrare con onesta' ai lettori che vogliono pagare poco a tutti i costi quali sono i reali "costi sociali" sostenuti da altri a livello umano, retributivo e professionale per tenere bassi i prezzi di copertina? O siamo nell'assurdo per cui lo sfruttamento da denunciare e' solo quello fatto da altri all'estero per tenere bassi i prezzi di palloni, magliette e prodotti alimentari?
E allora vi affido queste domande per un ulteriore lavoro di inchiesta: in Italia c'e' un pubblico abbastanza maturo da ragionare sul "consumo critico" di stampa quotidiana e periodica anche a costo di mettere mano al portafogli? Parallelamente, c'e' una categoria di editori, sindacalisti e giornalisti abbastanza onesta e coraggiosa da saper riconoscere e cambiare le condizioni lavorative del "cognitariato precario" a partire dal proprio ambito d'azione, senza cambiare discorso puntando sempre il dito altrove?
Certo di trovare in voi interlocutori attenti e sensibili a tutti questi problemi, vi ringrazio in anticipo per l'attenzione che vorrete rivolgermi.
Cordiali Saluti
Carlo Gubitosa
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