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Questo sito e' un contenitore di materiale vario senza nessuna organizzazione logica. L'artigiano di questa fabbrica di parole e' Carlo Gubitosa: scrittore compulsivo, sedicente ingegnere, appassionato di cause perse e tecnofilo cronico.

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La mia terra la difendo

La mia terra la difendo
Un ragazzo, una protesta, una scelta di vita

La mia terra la difendo

La rabbia e la speranza di un ragazzo che amava la sua terra. La storia di Giuseppe, il ventenne di Campobello di Licata che ha affrontato "il pregiudicato Sgarbi" con una telecamera, due amici e un pacco di volantini.
Carlo Gubitosa

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12 febbraio 2011 - Carlo Gubitosa

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Giornalisti contro il razzismo

Lettera aperta al giornalista Alberto Severi

C'e' chi propone un nuovo lessico contro le semplificazioni e il pregiudizio. E chi invece vuol chiamare clandestini anche i rifugiati. Ma i lettori da che parte stanno?
29 marzo 2009 - Carlo Gubitosa

Vignetta di Mauro Biani

 

Gentile dott. Severi,

Mi chiamo Carlo Gubitosa, sono un giornalista freelance e assieme ad alcuni colleghi ho promosso la campagna "Giornalisti contro il razzismo" ( www.giornalismi.info/mediarom ), alla quale hanno aderito agenzie di stampa come "Redattore Sociale" e "Dire", l'Ordine dei Giornalisti dell'Emilia Romagna e piu' di 150 operatori dell'informazione.

Le scrivo in merito al suo articolo intitolato "Clandestini? Diversamente regolari" ( http://tinyurl.com/cgymbo ), nel quale ha espresso le sue perplessita' sulla nostra proposta di abolire dal lessico giornalistico alcuni vocaboli (clandestino, extracomunitario, vu'cumpra', nomade, zingari), proponendo una serie di alternative che cercano di contrastare il pregiudizio e gli stereotipi: irregolari, rifugiati, richiedenti asilo, migranti, ambulante, venditore, rom, sinti.

Lei ha manifestato le sue riserve affermando che alcuni dei termini che abbiamo suggerito sono "troppo specifici". Dal nostro punto di vista il suo e' un complimento, perche' pensiamo che le generalizzazioni alimentino l'ignoranza e il pregiudizio, e che ci sia bisogno di affrontare i temi delle migrazioni con precisione e proprieta' di linguaggio.

L'idea da cui si e' partiti per chiedere la messa al bando di alcuni termini dai ferri del nostro mestiere e' proprio questa: il giornalismo che accomuna irregolari e richiedenti asilo sotto il generico marchio di "clandestini" ci sembra socialmente dannoso, e quindi chiediamo ai giornalisti lo sforzo necessario per accendere il cervello, imparare a valutare cio' di cui stanno scrivendo e scegliere caso per caso uno dei vocaboli piu' specifici ma anche piu' rispettosi che abbiamo proposto nel vademecum pubblicato sul sito della campagna.

Lei invece sembra preferire termini generici e approssimativi anche a costo di passare la linea di confine tra la cronaca rispettosa e la superficialita' che alimenta il razzismo. E' importante allora che a questo punto siano chiare non solo le adesioni alla nostra iniziativa, ma anche le posizioni come la sua, le adesioni alla "campagna invisibile" dei giornalisti che non hanno troppo tempo da perdere per scrivere in modo rispettoso, e che rivendicano come "ferri del mestiere" la velocita', la semplificazione, la superficialita', la genericita' e il luogo comune delle frasi ormai entrate nel lessico anche se questo va a scapito della correttezza, del rispetto e dell'impegno contro la violenza verbale sempre pronta ad essere trasformata in violenza fisica per le strade.

Ridicolizzare le diverse posizioni e' facile, e per farlo dalla nostra prospettiva le potrei dire che per comodita' e semplicita', oltre ad annunciare senza troppi fronzoli "er tiggì pe' e persone sorde" come lei ha suggerito nel suo articolo, potrebbe iniziare a definire extracomunitari anche gli svizzeri e gli statunitensi, e chiamare "clandestini" anche i cittadini di San Marino che entrano in territorio italiano per cercare lavoro senza permesso di soggiorno.

Ma al di la' delle ridicolizzazioni che servono solo quando si hanno argomenti deboli, il succo della nostra proposta rimane immutato. Non si tratta di aderire a un bon-ton politically correct di matrice radical-chic. Quella che chiediamo e' una scelta di campo relativa alla professione: ora piu' che mai e' importante capire chiaramente chi sceglie la semplificazione facile, al tempo stesso madre e figlia del pregiudizio razzista fatto di stereotipi, e chi invece prende la strada piu' difficile per raccontare una realta' complessa con un linguaggio all'altezza della situazione, utilizzando la lingua italiana nella sua varieta' e nelle sue mille sfumature, che non saranno mai "troppo specifiche" se ci aiutano a capire meglio i processi sociali in cui siamo immersi.

Prendiamo atto del fatto che lei non ha troppo tempo da perdere e preferisce usare parole generiche, noi restiamo convinti che il rispetto delle persone inizia dal rispetto della lingua italiana e dei mille strumenti che ci offre per rappresentare situazioni e vicende umane molto diverse tra loro. Poi stara' al lettore decidere quale di questi due approcci alla professione e' quello che gli potra' restituire il ritratto piu' fedele della cronaca del nostro tempo.

Cordiali Saluti

Carlo Gubitosa

 

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