Il lato oscuro di Facebook e la rivolta dei netizens
La "costituzione" di Facebook, ovvero il documento che definisce le condizioni d'uso del servizio, e' un testo che non tutti si prendono la briga di leggere, e che contiene alcuni passaggi davvero poco gradevoli per chi crede nell'avvento di una possibile "democrazia elettronica".
Chi e' sotto i 13 anni non puo' accedere al servizio in nessun caso, ma i ragazzi di eta' compresa tra i 13 e i 18 anni possono entrare su Facebook solo se iscritti all'università o a una scuola superiore, con una curiosa discriminazione di chi non e' ancora maggiorenne ma non puo' o non vuole piu' essere studente.
I proprietari di Facebook si riservano il diritto di cambiare senza preavviso le regole del gioco, con una modifica unilaterale della pagina web dove sono riportate le condizioni di utilizzo, e considerando l'uso del sistema come una implicita accettazione delle nuovi termini di servizio.
Non e' possibile inserire materiali che Facebook ritiene "pericolosi, minacciosi, illegali, diffamatori, trasgressivi, molesti, volgari, osceni, fraudolenti, in violazione della privacy o dei diritti dei singoli, portatori di messaggi di odio o discriminanti dal punto di vista etnico e razziale", e viene da chiedersi quanti contenuti prodotti con finalita' di espressione culturale o artistica potrebbero essere considerati "trasgressivi" o "molesti" dalla maggioranza benpensante. Riguardo alla rimozione arbitraria dei contenuti, Facebook si riserva il diritto di "eliminare o rimuovere senza preavviso qualunque contenuto degli utenti a sua discrezione, per qualsiasi ragione o anche senza motivo".
E' proibito anche condividere con i propri amici contenuti "che ad esclusivo giudizio della Società siano criticabili", oppure filmati di cronaca, documenti audiovisivi di pubblico interesse e ogni altro genere di video "di natura differente da quella personale". Se non sei l'autore o il soggetto del video in questione, non puoi pubblicarlo su Facebook.
Sempre in base alle condizioni d'uso, l'inserimento di contenuti da parte degli utenti fa scattare una licenza di autorizzazione "perpetua, non esclusiva, trasferibile" e "valida in tutto il mondo" a fare praticamente tutto con quei contenuti, compresa la distribuzione "per qualsiasi scopo commerciale, pubblicitario o di altra natura".
Per far decadere questa autorizzazione e riprendere il controllo sui propri materiali, basta uscire da Facebook e cancellare tutto, accettando comunque "che la Società possa mantenere in archivio copie dei Contenuti dell’utente", senza specificare se saranno utilizzate solo per farle vedere agli "amici" con cui erano stati precedentemente condivisi oppure destinabili anche ad altri scopi.
Ma il 4 febbraio scorso una frase fondamentale e' sparita dalle condizioni di utilizzo: "Potete rimuovere i vostri Contenuti Utente dal Sito in qualunque momento. Se scegliete di rimuovere i vostri Contenuti Utente, la licenza concessa scadrà automaticamente". Con quello che e' stato definito il primo "colpo di stato su internet" Facebook ha cancellato unilateralmente la possibilita' di dire "me ne vado, e non puoi piu' usare i miei contenuti", e ha trasformanto la licenza revocabile in una autorizzazione perpetua.
Da qui la netta reazione di protesta di migliaia di utenti e gruppi di difesa dei consumatori, che passera' alla storia come la prima, grande pressione popolare esercitata dal basso su una compagnia privata che finora ha gestito in modo arbitrario quello che e' ormai diventato un servizio pubblico, una "anagrafe digitale globalizzata" dove andiamo a cercare amici e parenti che non sentiamo da tempo.
La rivolta digitale dei netizens ha fatto uscire allo scoperto il venticinquenne Mark Zuckerberg, amministratore delegato di Facebook e catalogato dalla rivista Forbes come il "piu' giovane miliardario del mondo". La sua fortuna, stimata attorno al miliardo e mezzo di dollari, e' stata costruita proprio su facebook e su quei frammenti di vita privata che moltiplicati per milioni di utenti regalano il tocco di re mida a chi e' in grado di controllarli.
Con una serie di annunci ufficiali, Facebook e Zuckerberg hanno fatto marcia indietro, ripristinando la vecchia versione delle condizioni di utilizzo e il diritto degli utenti a riprendere il controllo dei propri contenuti una volta abbandonato il servizio, ammesso e non concesso che questo controllo totale e indefinito sia legittimo quando si e' ancora dentro il network.
Questa vicenda ci regala alcuni importanti insegnamenti: nell'era del tecnocapitalismo, dove i bit diventano merci e denari, i giganti della rete sono meno potenti dei giganti dell'industria, e sensibili a qualunque reazione dal basso, proprio perche' i cittadini possono organizzarsi per produrre bit di contropotere molto meglio di quanto possano organizzarsi per una produzione alternativa di automobili o bibite.
Il passo successivo sara' quello di sottrarre alle aziende il controllo delle nostre vite digitali, per fare le stesse cose che facciamo oggi su Facebook, ma con tecnologie aperte (dove ognuno puo' costruire il proprio Facebook e farlo interagire con quelli altrui) e collegamenti peer-to-peer, che renderanno obsoleti i fornitori centralizzati di servizi per distribuire il potere dell'informazione in maniera piu' orizzontale e libertaria. E da quel giorno i miliardi di dollari non si fermeranno piu' nelle tasche di una sola persona.
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