Fronte aperto in USA nella guerra dei media
Mentre nella nostra piccola provincia dell'Impero fa discutere un giornalista che dice in Tv cose gia' scritte sui libri, oltreoceano si aprono nuovi fronti nella guerra dei media, dove la posta in palio non e' la conquista di un territorio ma il controllo del consenso e delle coscienze. Non contento di possedere la stazione televisiva Fox, l'ariete repubblicano che ha riportato Bush alla Casa Bianca, nel gennaio scorso Rupert Murdoch ha acquistato il Wall Street Journal, e quattro mesi dopo il direttore Marcus Brauchli ha rassegnato le dimissioni. Una vicenda che ricorda molto da vicino il conflitto tra Berlusconi e Montanelli, e tutte le guerre tra giornalisti e padroncini che si concludono sempre con la sconfitta del giornalismo. Ma questa volta si e' fatto anche di peggio. Il vuoto editoriale lasciato dal direttore uscente e' stato colmato proprio dal padroncino, e il nuovo corso del Wall Street Journal e' stato inaugurato con un editoriale di Murdoch, nel quale il signore dei media globalizzati ha vestito i panni del grande statista invocando un allargamento della Nato a paesi come Australia, Israele e Giappone, considerati piu' affidabili della vecchia Europa che a suo dire "non ha più né la volontà politica, né il senso civico per sostenere un impegno militare per difendere se stessa e i suoi alleati". Da chi e da cosa, non e' dato di sapere. A New York, la capitale mondiale dei media, e' ormai scontro aperto tra Murdoch e Sulzberger, il proprietario del New York Times. Per dimostrare di essere all'altezza del nazionalismo militarista di Murdoch, il Times ha arruolato tra i suoi columnists Bill Kristol, co-fondatore assieme a Robert Kagan dell'eversivo "Progetto per il nuovo secolo americano" uno dei più accaniti sostenitori della guerra in Iraq. Il comico Daniele Luttazzi, unico in Italia ad occuparsi seriamente della faccenda, ha scritto sul suo blog che Kristol "con discorsi, interviste e articoli, ha continuamente mentito agli americani e al mondo, spacciando propaganda guerrafondaia come notizie vere, bugie come fossero fatti. Scrisse sulle motivazioni, i costi, la pianificazione e le conseguenze della guerra in Iraq un cumulo di menzogne e di baggianate che lo rendono del tutto inattendibile come commentatore politico". Ma ormai tutto questo fa parte del curriculum di ogni buon giornalista integrato.