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INTERVENTO

Dicerie colte, allarmi sociali

Il commento dell'associazione Straniamenti all'inchiesta sul cosiddetto "islam radicale" pubblicata il 25 gennaio 2013 dal quotidiano La Repubblica. "Produrre diffidenza e contribuire a far immaginare guerre, terrorismo, complotti e misteri dove non ce ne sono, non aiuta"
28 gennaio 2013 - Associazione Straniamenti

Pubblichiamo un intervento dell'associazione Straniamenti sull'inchiesta pubblicata il 25 gennaio 2013 dal quotidiano La Repubblica.

 

Dicerie colte, allarmi sociali.

L’analisi seguente era stata scritta a partire da un articolo sul cartaceo di “Repubblica”. Quando ci apprestavamo a postarla,  ci siamo accorti che ora il pezzo compare anche online, come "inchiesta". Alle 12 di oggi 18 gennaio “lo consigliano” 486 persone. Non ne dubitavamo.  Ci sembra difficile sovrastimare i danni provocato da questa sedicente “inchiesta”, che non certo  fa onore all’epigrafe di cui si fa bella la pagina delle inchieste di quel quotidiano:

Frase di Giuseppe D'Avanzo

Da vent’anni il senso comune più allarmato e qualunquista va ripetendo che l’Italia è il belpaese di immigrati, fannulloni, delinquenti e terroristi  (associando tali categorie, e a volte tutte e quattro, in una sola). Oggi, 25 gennaio, ci pensa “la Repubblica”  a confortare tale diceria, con un titolo in prima pagina, “Il Belpaese dei Fratelli musulmani”.


L’autore dell’articolo è Vladimiro Polchi, che, contrariamente al collega Custodero (quello delle percentuali fantasiose sui “crimini” degli immigrati e degli 007 allarmati dalle iniziative speculative dei “cinesi”) ha qualche confidenza col fenomeno immigrazione, su cui ha scritto un libro e diversi articoli di cronaca e di riflessione. Per spiegare la bassa qualità del titolo si potrebbe perciò pensare a un infortunio redazionale, ma anche l’occhiello (“Offensiva dell’islam radicale: soldi alle moschee e alle aziende per conquistare consensi”) e alcuni passaggi dell’articolo sono assai allarmistici. Per non parlare del paginone interno, con titoli e riprese di tono preoccupante.


Poco importa che le fonti citate e gli intervistati sdrammatizzino e riducano molto la portata dell’allarme: la tesi di Polchi procede come un treno senza controllo. La strategia discorsiva è un po’ alla “Voyager”, dice (poco) e non dice (la sostanza), alludendo a misteri e promettendo disvelamenti che non arrivano; un gioco che la più riconosciuta autorità al mondo del “dire et ne pas dire”, Oswald Ducrot, nei manuali di linguistica testuale definisce “subdolo”.


Il linguaggio militare adoperato non lascia dubbi: siamo davanti a una “offensiva”, con “infiltrazione”, “conquista di consensi”, “avanzata” (questi ultimi tre a caratteri cubitali), “movimento sotterraneo”, “espansione”, “obiettivo”, “conquista”, “ramificazioni”, “avanzata  inarrestabile”, “rischio”; abbiamo a che fare non con persone che cercano di lavorare e mantenere la famiglia, ma con “affiliati” dediti a “progetti” di “conquista”, “scalata”, e portatori di  “parole d’ordine”. Se in Italia aumentano i fruttivendoli stranieri, c’è da sospettarli “impermeabili alla crisi”: prova a indovinare chi li impermeabilizza!  Le notizie  che espongono in vetrina ne “denunciano” la nazionalità, ne “svelano” la fede. L’eventuale ansia di proselitismo di una parte minoritaria li qualifica come  nuovi “padroni” (virgolettato; e ripreso in grande senza virgolette) dell’Islam.


Straniamenti Dove tutto avviene in piena luce, si immaginano “misteri” (anche se poi si ammette: “nulla da nascondere”). Se un commerciante non chiude, avrà un indicibile “segreto del successo”: e quando un intervistato espone ovvietà, ricordando  che si tratta di  andare  ai mercati generali e rifornire anche negozi altrui  e ristoranti, Polchi scatta uno dei non pochi  “ma” assai indicativi della sua strategia testuale: “ma chi copre l’investimento iniziale?”


Si citano i servizi segreti Usa ed Italia, anche se si è costretti a dire che  questi ultimi “si limitano a mettere in guardia da un possibile nuovo attivismo”. Si citano di nuovo i servizi: un dossier segreto, ma non a Polchi (come già al suo collega Custodero), del 2007, in cui il fenomeno è fortemente ridimensionato. “MA”, soggiunge l’opinionista, “negli ultimi anni le cose SAREBBERO cambiate”; si noti un movimento strategico rozzo, ma sempre efficace, il condizionale che i grammatici chiamano “dissociativo”, ma che permette di dissociarsi solo dalle responsabilità di quanto si dice-non dice, suggerendo l’adesione alle dicerie più allarmiste; e si cita un testimone privilegiato, Yahya Pallavicini, che per la verità fa un ragionamento ben più complesso.


Le parole di uno studioso autorevole, come Campanini, vengono piegate a suggerire misteri e rischi in fenomeni alla luce del sole. I Fratelli Musulmani hanno una forma di welfare, che consiste  in aiuti anche finanziari a immigrati, per avviare attività. Come Polchi dovrebbe sapere,  forme simili e non illegali di aiuto sono diffusissime, anche al di fuori del mondo musulmano, e centrali, all’interno della parte non fondamentalista di questo mondo, che in Italia sembra essere di gran lunga prevalente. E’ noto l’appoggio delle confraternite sufi  (decisamente antifondamentaliste) agli emigranti senegalesi, e il ritorno di tali investimenti sotto forma di ambulanze,  collette per il rifacimento di acquedotti, etc.

Quanto agli “aiuti sanitari e scolastici”  che secondo Polchi sarebbero assicurati agli aderenti, sarebbe interessante e forse  divertente saperne di più: potrebbe dedicarsi a farci su un’inchiesta seria, e aiutare l’associazionismo a riconoscere alleati nel tentativo di ridurre la feroce selezione scolastica dei figli di immigrati.


Un rischio, naturalmente, c’è, in queste  reti  di assistenza, alcune (poche) a rischio fondamentalismo, altre no: ma tutte rese necessarie dalle difficoltà esistenziali e familiari, non certo da un complotto sottostate. Il rischio è che la chiusura in reti e vincoli che si accettano per iniziare il progetto migratorio, reti e vincoli che normalmente col tempo si indeboliscono: purché la società d’accoglienza,  e in particolare gli amministratori, gli addetti ai media, gli operatori di scuola, sanità e servizi, non costringano i nuovi arrivati, anche a distanza di molti anni, a poter contare quasi soltanto di tali reti protettive (e vincoli).

Produrre diffidenza e contribuire a far  immaginare guerre, terrorismo, complotti e misteri dove non ce ne sono, non aiuta. E dal giornale in cui abbiamo letto l’inchiesta sulla Thyssen, e su cui cerchiamo le vignette di Altan e gli interventi di Prosperi o Zagrebelsky o Barbara Spinelli, ci aspettiamo di meglio. Pochi decenni fa ci è stato proposto un aforisma gravido di conoscenza, quello secondo il quale l’antisemitismo è la “diceria sugli ebrei”; possiamo accettare l’acquiescenza alle dicerie come segno di professionalità?


Associazione “Straniamenti”

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