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Intervista rilasciata al mensile genovese "Babilonia Swing"

30 novembre 2008 - Carlo Gubitosa

Lei è referente della Campagna “ Informazione Pulita”, quali sono gli obiettivi?

Ho lanciato questa campagna dal basso, assieme ad un piccolo gruppo di giornalisti amici, per intervenire in modo propositivo su tre strutture di potere che condizionano pesantemente l’informazione italiana: l’Ordine dei Giornalisti, il Consiglio di Amministrazione RAI, il ristretto gruppo di giornali e riviste che hanno lo Stato e i fondi pubblici come fonte privilegiata di finanziamento. Per questa ragione la campagna propone tre obiettivi “politici” molto semplici, concreti e a mio avviso ragionevoli, da cui si puo’ partire per una seria discussione dell’anomalia mediatica italiana e per provare a restituire ai cittadini il controllo economico, politico e deontologico dell'informazione: libertà di scelta per l'uso dei soldi pubblici destinati all'editoria, libero accesso all'ordine dei giornalisti, libere elezioni del consiglio di amministrazione della Rai.

Quali sono i motivi per cui in Italia l’informazione non può considerarsi libera?

Non c’e’ liberta’ di impresa: il mercato pubblicitario e’ assorbito quasi totalmente dalla televisione, dove spadroneggiano due sole aziende (Sipra e Publitalia), e questo toglie ossigeno a radio, tv locali e piccola editoria. Non c’e’ liberta’ di acquisto: la maggior parte di quello che troviamo in edicola o in librera proviene da tre enormi gruppi editoriali: Rcs/Corriere della Sera, il gruppo Caracciolo/Repubblica e la galassia Mediaset/Fininvest. Non c’e’ liberta’ di iniziativa editoriale: per fondare una piccola rivista ci vogliono in proporzione piu’ soldi di quelli spesi per la pubblicazione del Sole 24 Ore, perche’ i finanziamenti vengono diretti ai grandi editori gia’ affermati e non alle iniziative che cercano di emergere per aumentare il pluralismo e la biodiversita’ culturale. Non c’e’ liberta’ professionale: il contratto dei giornalisti e’ scaduto nel 2005 e gli editori si trovano davanti ad una categoria professionale dove gli anziani tutelati nelle redazioni cedono il posto ai giovani precari che spediscono i pezzi da casa, e quindi hanno tutto l’interesse a rimandare indefinitamente le trattative per un nuovo contratto di lavoro, puntando alla gola dei professionisti il coltello della crisi e del precariato che spinge molti all’autocensura e al basso profilo. Non c’e’ liberta’ di inchiesta: la scomparsa degli editori puri, la commistione sempre piu’ profonda tra interessi mediatici e secondi fini politici e un giornalismo che si vorrebbe sempre piu’ economico e fatto di copia/incolla hanno esaurito tutte le risorse che un tempo erano a disposizione di inviati e cronisti per dedicare anche un mese intero alla pubblicazione di un pezzo di approfondimento, e ora il giornalismo di inchiesta e’ diventato un lusso per ricchi che hanno un secondo lavoro o per programmi che possono contare su significative risorse economiche.

Cosa vuol dire informazione pubblica?

Dal mio punto di vista l’informazione pubblica e’ caratterizzata dall’avere processi pubblici e trasparenti di gestione del potere televisivo, gestione dei finanziamenti pubblici, gestione delle regole deontologiche e delle corrispondenti sanzioni. La campagna Informazione Pulita e’ stata lanciata proprio a sostegno di questi tre obiettivi, per trasformare il sistema mediatico opaco e autoreferenziale in una casa di vetro dove i cittadini hanno il diritto di sapere e di decidere.

Chi imbavaglia i giornalisti?

Il primo e’ piu’ pesante bavaglio e’ quello dell’autocensura. L’espulsione di Enzo Biagi dalla Rai su ordine del Premier ha avuto proprio questo scopo intimidatorio lanciando un messaggio molto chiaro a tutti i professionisti: “guardate che se caccio lui, posso fare lo stesso con chiunque. Da Biagi in giu’ nessuno puo’ considerarsi al sicuro in Rai, e quindi fate attenzione a quello che fate”. La seconda censura e’ quella professionale, dovuta a condizioni lavorative sempre piu’ precarie e difficili, che non nascono dalle congiunture del mercato ma da politiche editoriali orientate al risparmio, ben diverse dall’investimento sulla professionalita’ dei giornalisti che viene realizzato in altri paesi d’Europa da organi di informazione pubblici e privati. Se in Italia l’ambiente televisivo della Rai fosse piu’ simile a quello della BBC avremmo una categoria di professionisti piu’ qualificata e una informazione migliore. Per ogni Travaglio che riesce a vincere censure e ostacoli raccogliendo un pubblico capace di sostenerlo anche davanti alle tempeste legali, ci sono decine di giornalisti che non riescono in questa impresa loro malgrado, e di fronte alla prima querela, anche per motivi pretestuosi, devono cambiare mestiere se hanno avuto la sfortuna di lavorare per un editore che sceglie di abbandonarli al loro destino scaricando questa responsabilita’. Un caso concreto di "censura giudiziaria" e' quello che ha coinvolto il giornalista freelance Paolo Barnard. L'oggetto del contendere e' stato un servizio di Barnard realizzato per la trasmissione "Report" sulle aziende farmaceutiche che corrompono i medici con regali e congressi di lusso in posti esotici per ottenere maggiori prescrizioni dei loro prodotti. Senza scomodare gli studi legali delle “Big Pharma”, per mettere in difficolta' Barnard e' bastata la denuncia di un semplice informatore scientifico. La Rai si e’ chiamata fuori dalla vicenda, e ha scaricato ogni responsabilita' legale su Barnard dimenticando che i suoi avvocati hanno visionato il programma prima della messa in onda e della successiva replica, senza avere nulla da ridire. La Rai, che spende milioni per gli spettacoli di varieta' ma non ha soldi per difendere in tribunale le inchieste di Report, mostrate come fiore all'occhiello (o foglia di fico) quando vengono messe in onda, ma subito rinnegate come figlie bastarde quando ottengono il loro scopo, che e' quello di mettere un dito impietoso nelle piaghe aperte del potere. Quello di Barnard sembra un caso isolato, ma in realta' la censura delle carte bollate e' all'ordine del giorno in Italia, un cancro silenzioso che fa morire le cellule vive dell'informazione libera. Ci meritiamo qualcosa di meglio dalla Rai? Se si potesse chiedere ai cittadini quali sono le voci di spesa prioritarie per l'informazione pubblica, in cima alla classifica troveremmo gli addobbi floreali di Sanremo? Piu' probabilmente una Rai amministrata dai cittadini e non da pedine dei partiti darebbe priorita' alla difesa legale dei giornalisti di Report (anche e soprattutto in quanto precari, freelance e non assunti ufficialmente come dipendenti Rai) per tutte le conseguenze dei servizi approvati e messi in onda con il marchio dell'azienda.

Cosa ne pensa del ddl Levi-Prodi , ancora presente in Parlamento?

Penso che sia un disegno di legge profondamente stupido, scritto da persone che cercano di imbavagliare in una griglia legislativa viziata da una mentalita’ del secolo scorso un fenomeno sociale inarrestabile e dinamico come la libera comunicazione sociale che si svolge quotidianamente in rete. Considero queste iniziative equivalenti al voler impedire alla gente di baciarsi per strada in nome della pubblica morale, privare nuovamente le donne del diritto al voto, ripristinare il delitto d’onore: tentativi di riportare indietro per legge le lancette dell’evoluzione sociale, che sono inevitabilmente destinati a fallire di fronte alla disobbedienza civile di massa dei cittadini. Dopo aver assaporato in rete alcune liberta’ fondamentali, una tra tutte quella di parlare e scrivere dopo anni di silenzioso ascolto televisivo, i cittadini non rinunceranno di certo a scambiare informazione e cultura in rete, indipendentemente dagli obblighi, vincoli e lacciuoli a cui li costringeranno i loro governi. Nemmeno un paese repressivo e autoritario come la Cina e’ riuscita a zittire il popolo della rete, e li’ chi comunica fuori dai canali di regime rischia ben piu’ di una multa. Davanti a questa forza inarrestabile della comunicazione dal basso ogni legge segue uno stesso fallimentare percorso: anche la legge sull’editoria approvata nel 2001 dal centrosinistra e’ stata scritta male, interpretata peggio (ricordo un sito anticlericale e blasfemo, senza nessun contenuto informativo, condannato come “testata giornalistica”) e successivamente ignorata di fronte ai comportamenti di massa che spingevano in tutt’altra direzione.

Cosa ne pensa della proposta circa l’abolizione dell’ordine dei Giornalisti?

Ritengo pericolosa l’abolizione fine a se stessa se non accompagnata da una dimensione propositiva che stabilisca un “centro di tutela e garanzia della deontologia professionale”, quello che in teoria dovrebbe essere lo stesso OdG. Di fronte ad un ordine professionale nato all'ombra del fascismo, che fa di tutto per rimanere una casta chiusa, l'opinione pubblica fa fatica a cogliere la necessita' di un organismo che mantenga il rigore deontologico obbligando i giornalisti a tenere la schiena dritta, e si chiede l'abolizione dell'ordine dei giornalisti buttando il bambino con l'acqua sporca, quando molte cose si potrebbero risolvere sbattendo fuori a calci chi infrange le regole base della professione e garantendo al tempo stesso l'accesso libero e incondizionato all'ordine a chiunque ne faccia richiesta. A chi farebbe comodo la scomparsa di un ordine professionale che (almeno in teoria) dovrebbe difendere l'autonomia dei giornalisti e imporre loro il rispetto delle regole di fronte alle pressioni dei politici, dei pubblicitari e dei poteri forti? I baroni del giornalismo italiano, pedine disposte con cura dai partiti, da Confindustria, dalla Mafia, dalla Massoneria e dai poteri clericali sullo scacchiere dei media, saranno ben contenti dell'assenza di un organismo di controllo. Finora questo organismo e' stato di fatto sordo, cieco e muto di fronte a qualsiasi violazione, ma qualcuno vorrebbe che diventasse addirittura inesistente per avere mano libera e cancellare ogni residuo di professione e professionalita' all'interno delle redazioni, archiviando come vezzi obsoleti principi deontologici come l'incompatibilita' tra il ruolo civile di giornalista e l'attivita' militare nei servizi segreti (vedi il caso Renato Farina). L'assenza di un ordine professionale non cambiera' la faccia del giornalismo italiano ne' la piaggeria delle testate giornalistiche e televisive, semplicemente lascera' briglia sciolta a chi sapra' vendersi meglio, senza nemmeno lo spauracchio di una sanzione o dell'espulsione da una categoria professionale. I pennivendoli asserviti saranno solamente contenti della scomparsa dell'Ordine dei Giornalisti, un controllo inesistente che non emana sanzioni e' sicuramente meglio del controllo leggero e bonaccione che comunque c'e' stato finora, e l'assenza totale di questo controllo permettera' a chi di dovere di continuare a fare gli interessi dei suoi padroni senza muovere nemmeno di un centimetro la sua poltrona. Gli editori saranno molto piu' contenti della scomparsa di questa categoria professionale, perche' di fronte ad un gruppo di professionisti che non si aggrega, non ha regole e non si riconosce in nessuna deontologia sara' molto piu' facile sbarazzarsi dei giornalisti contrattualizzati che lavorano in redazione e rimpiazzarli con precari che lavorano da casa e mandano i pezzi via internet, per i quali non ci sara' bisogno di pagare l'affitto dei locali, la connessione Adsl e la bolletta della luce. Le ferie diventeranno licenziamenti temporanei (gia' ora lo sono per molti) e scomparira' del tutto la rappresentanza della categoria nei confronti delle aziende (gia' adesso i sindacati tutelano pienamente solo i giornalisti contrattualizzati, con iniziative per i freelance tanto sporadiche quanto velleitarie e prive di risultati concreti). Questo "cognitariato", la nuova "classe operaia" dell'informazione che viene sfruttata intellettualmente anziche' nella sua forza lavoro come accadeva per il proletariato, sara' piu' debole e fragile in assenza di un ordine professionale. Quando l'ordine dei giornalisti sara' scomparso, i giornalisti non saranno piu' obbligati per legge a rispettare la deontologia professionale. Io continuero' a farlo anche senza essere obbligato, solo perche' mi piace scrivere e mi piace farlo bene, ma non posso garantire anche per gli altri, ne' potro' invocare il rispetto delle regole se accanto a me ci sara' un collega che prende bustarelle dai partiti o e' pagato per fare il depistatore. Non potro' piu' essere sanzionato se faccio marchette infilando pubblicita' occulta nei miei pezzi, ne' potro' essere rimproverato se i servizi segreti mi metteranno sul libro paga come hanno fatto con Renato Farina. Non avro' problemi nemmeno se usero' il giornalismo come arma politica per favorire qualcuno come ha fatto Bruno Vespa, intercettato mentre progettava di "confezionare addosso" a Gianfranco Fini una puntata del suo show. Finora l'ordine dei Giornalisti ha sempre avuto la mano leggera verso questi episodi, limitandosi ad ammonimenti verbali o sospensioni temporanee, ma ora oltre a non esserci le sanzioni qualcuno vuole che non ci siano piu' nemmeno le regole. Un po' come abolire la magistratura perche' alcuni giudici "confezionano sentenze" addosso agli imputati. Senza l'appartenenza ad un ordine professionale, oltre al dovere di rigore deontologico perdero' il diritto di cronaca che mi consente di fare il giornalista anche quando qualcuno vorrebbe impedirmelo, un diritto che ho dovuto rivendicare in piu' occasioni facendo valere la mia condizione professionale di fronte a chi voleva negarla, ad esempio quando ho incontrato Carabinieri che non volevano farmi fotografare una base USA dall'esterno e in una strada pubblica, quando un controllore voleva impedirmi di scattare una foto ad un adesivo razzista nella metropolitana di Milano, quando ho chiesto di accedere ad atti parlamentari che sarebbero stati negati al "normale" cittadino. Anche il problema della tutela delle fonti sfugge ai non addetti ai lavori: e' importante che chi raccoglie per mestiere brandelli sparsi di verita' contraddittorie possa garantire sicurezza e protezione a chi gli da' fiducia affidandogli notizie e dichiarazioni che potrebbero danneggiarlo o esporlo al rischio di ritorsioni. Anche altri professionisti hanno il diritto di tutelare chi gli racconta qualcosa, come fanno ad esempio i medici e gli avvocati, ed essere riconosciuto dalla legge come giornalista mi permette di difendere chi trova il coraggio di dirmi cio' che non potrei sapere da nessun altro. Io non credo che il giornalismo sia un mestiere riservato agli eroi e so che non posso pretendere di incontrare sempre degli eroi quando faccio una intervista. E' per questo che ho fatto piu' volte ricorso alle prerogative che derivano dalla mia appartenenza ad un ordine professionale, riuscendo ad ottenere informazioni di interesse generale per le quali ho svolto un ruolo di doppia garanzia grazie alla mia appartenenza ad un ordine professionale: ai lettori ho garantito che quelle informazioni, anche se anonime, erano vere e non me le ero inventate io, mentre alle mie fonti ho garantito che non avrei fatto i loro nomi nemmeno davanti a un tribunale, non perche' sono un eroe ma perche' mi era legalmente possibile in quanto membro di una determinata categoria di professionisti. E' lo stesso principio per cui il prete puo' difendere anche di fronte a un tribunale i segreti che gli vengono affidati nel confessionale: altrimenti nessuno andrebbe piu' a confessarsi se ha fatto qualcosa che oltre ad essere peccaminoso e' anche illegale.

Non crede che se la gente votasse i propri rappresentanti Rai, si offrirebbe l’ennesima torta da spartire tra i politici?

Questo potrebbe accadere se le rose dei candidati al ruolo di membri del consiglio di amministrazione Rai venissero decise a tavolino dalle segreterie dei partiti, ma non e’ questo quello che propone la campagna “Informazione Pulita”. La nostra proposta, infatti riguarda delle LIBERE elezioni del consiglio di amministrazione Rai, dove qualunque esponente del mondo della cultura, dell’informazione, dello spettacolo o dell’imprenditoria, e anche ogni “semplice” cittadino puo’ dare la propria disponibilita’ a svolgere un servizio pubblico nell’azienda Rai, presentando una propria proposta di palinsesto e lasciando ai cittadini il ruolo di decidere qual e’ la visione di servizio pubblico televisivo che ritengono migliore. Messa cosi’ sembra utopia, ma questo obiettivo si potrebbe raggiungere gradualmente, ad esempio coinvolgendo le sedi regionali Rai e iniziando ad eleggere dal basso in concomitanza delle elezioni regionali. Le soluzioni possibili sono davvero molte, basta ragionarci sopra per trovare mille modi di strappare ai partiti e alle lobby di potere il controllo sui luoghi chiave dell’informazione.

Che messaggio darebbe ai cittadini “non addetti ai lavori”?

Il primo, ovviamente e’ quello di visitare il sito www.giornalismi.info/ip e decidere liberamente se sono d’accordo o meno con le ragioni della nostra campagna. Non “affidatevi” a scatola chiusa ai vip, nemmeno a quelli dell’informazione alternativa e coraggiosa: siamo tutti esseri umani, e i nostri sbagli possono diventare pericolosi se abbiamo davanti a noi un pubblico acritico che prende per vangelo tutto quello che diciamo. Le menzogne consapevoli dei giornalisti venduti sono piu’ grossolane e riconoscibili, e quindi e’ piu’ facile difendersi. Quello che ci fa rischiare grosso, se non manteniamo vivo il senso critico e alta l’attenzione, sono gli errori inconsapevoli fatti in buona fede dai giornalisti onesti. La ricerca di informazione corretta e’ come l’igiene personale: una responsabilita’ individuale che non va delegata a nessuno.

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