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Questo sito e' un contenitore di materiale vario senza nessuna organizzazione logica. L'artigiano di questa fabbrica di parole e' Carlo Gubitosa: scrittore compulsivo, sedicente ingegnere, appassionato di cause perse e tecnofilo cronico.

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La mia terra la difendo

La mia terra la difendo
Un ragazzo, una protesta, una scelta di vita

La mia terra la difendo

La rabbia e la speranza di un ragazzo che amava la sua terra. La storia di Giuseppe, il ventenne di Campobello di Licata che ha affrontato "il pregiudicato Sgarbi" con una telecamera, due amici e un pacco di volantini.
Carlo Gubitosa

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Guerra, razzismo, P2 e marchette: un atto d’accusa ai giornalisti VIP

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Se siete a caccia di pennivendoli famosi con le mani sporche di guerra, marchette, p2 e razzismo anziche' di inchiostro, questo e' il libro che fa per voi. Il consiglio e' disinteressato: io non ci guadagno niente sul venduto perche' mi pagano a forfait, lo dico per quelli che hanno problemi di schiena a tenere in mano un pesante tomo di Travaglio e vogliono qualcosa di piu' agile da leggere in bagno.
12 febbraio 2011 - Carlo Gubitosa

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"Liberazione" chiude anche il sito

Ferrero ha deciso: il giornalismo ha scassato la minchia

Nel vecchio PCI il settore "stampa e propaganda" era il cuore pulsante del partito, ora e' un ramo secco da dismettere. Tanto c'e' Twitter.
19 marzo 2014 - Carlo Gubitosa

L'Evirazione, variazione sul tema del logo di "Liberazione"

Correva l'anno 2008, e il gruppo redazionale dell'inserto satirico "Paparazzin", ospitato sulle pagine del quotidiano "Liberazione", veniva messo di fronte ad una triste alternativa: chiudere bottega o lavorare gratis. A quell'epoca la dignita' del mestiere di scrivano e matitiere (concetto legato a filo doppio alla retribuzione dell'opera prestata) non era ancora oggetto di trattativa, e quindi la decisione fu chiara e unanime: chiudiamo bottega, e se proprio dobbiamo lavorare gratis, facciamo una rivista autoprodotta.
Fu da quel rifiuto dell'autosfruttamento in cambio di una "visibilita'" vera o presunta (che oggi invece e' pratica diffusa e perfino rivendicata dagli "autosfruttati" in nome della libera espressione) che nacque l'esperienza di Mamma!, la prima rivista mondiale (per quanto ne so) a centrare il suo piano editoriale sul giornalismo grafico: un sapiente miscuglio di giornalismo a fumetti, fotoreportage, infografiche e illustrazioni. I frutti di questa iniziativa li trovate su www.mamma.am/edicola, a testimonianza che le buone idee possono sbocciare anche da piccoli gruppi.
 
Il ricordo piu' caro dell'esperienza di "Paparazzin" e' l'ultimo "strillo" a tutta pagina con cui io, Mauro Biani e gli altri redattori dell'inserto salutammo i nostri lettori in edicola, chiudendo quell'esperienza di satira "non negoziabile ne' ricattabile" (era questo il sottotitolo di "Paparazzin"). Un titolo che non lasciava spazio ad equivoci sulle vere ragioni di quella eutanasia editoriale: "IL PRC HA DECISO: LA SATIRA HA SCASSATO LA MINCHIA", una triste constatazione che oggi purtroppo possiamo estendere anche al giornalismo in se'.
La testata di Paparazzin numero 50
 
Che il giornalismo abbia scassato la minchia a Ferrero e alla dirigenza del PRC e' confermato (anche se con toni piu' diplomatici) dallo stesso direttore editoriale di "Liberazione" Dino Greco, nella sua replica al "manifesto funebre" con cui Ferrero ha annunciato la chiusura della testata anche nella sua versione online (grassetti miei):
Proviamo a non nascondere la verità - ai nostri iscritti e, prima ancora, a noi stessi -, proviamo a non compiere questo estremo atto di autolesionismo. Alla base c’è la tesi non dichiarata che un giornale del Prc non serve. Meglio farsi saltuariamente ospitare da qualche altro contenitore, magari assai lontano da noi, ma più letto e quindi di più immediata risonanza; meglio andare a rimorchio, secondo un vecchio riflesso gregario, compilando rassegne stampa nelle quali noi appariamo secondo le opinioni che gli altri hanno di noi; meglio "twittare" ad ogni stormir di foglia, nell’illusione di lasciare traccia su menti addomesticate ad una politica ridotta ad impressionismo sloganistico; meglio coltivare blog personali, più rivolti alla lotta politica interna che non ad una vera comunicazione. L’idea di un giornale che contribuisce a formare e trasmettere la tua identità, a produrre cultura politica e a favorire la costruzione del partito e della sua iniziativa è abbondantemente latitante.
Il "J'accuse" di Greco e' rafforzato da Romina Velchi, direttore responsabile della testata, che ha puntato il dito contro una totale assenza di progettazione nel settore della comunicazione e una proposta politica trasformata in pura gestione contabile (grassetti miei): 
Con caparbietà abbiamo messo in campo tutte le iniziative possibili, specie dopo la fine delle pubblicazioni del giornale cartaceo (ormai nel lontano dicembre 2011) sempre e solo con l'intento di essere utili (...) Una cosa sola chiedevamo in cambio: l'impegno del partito a non disperdere questo lavoro e a dare una prospettiva politica a questo sforzo. Questo impegno, oggettivamente, non c'è stato. Non solo in termini di abbonamenti (che pure erano di vitale importanza, come si vede), ma soprattutto di costruzione di un percorso che permettesse di non arrivare alla morte più o meno annunciata di Liberazione circondati dal vuoto assoluto: vuoto di proposte; vuoto di progetti; vuoto di programmazione. Che idea ha il partito della propria comunicazione? Di che strumenti ha bisogno? Di un sito? Di due? Di tre? Di nessuno? L'attuale proliferare di pagine web è fonte di ricchezza o di confusione? Serve un house organ oppure no? E in che forme? Gratuito? A pagamento? Basta una rassegna stampa? Si noti che di tempo ce n'è stato per affrontare questi temi, ma ogni volta c'era qualcosa di più urgente. Fino ad arrivare all'inesorabile. (...) Si chiedeva (e si chiede) di manifestare una volontà; di mostrare coerenza tra le cose che si dicono e quelle che si fanno. Insomma, di mettere in campo un percorso che ci permettesse di guardare avanti, di superare la difficilissima fase in cui ci troviamo, come giornale e come partito, creando le basi per un rilancio organizzativo di tutto il comparto della nostra comunicazione politica. Invece, arriviamo ad un traguardo oltre il quale non c'è nulla, tranne la chiara volontà di chiudere Liberazione per salvare il partito. (...) C'è stata, a nostro avviso, una sottovalutazione grave della dimensione politica della questione, lasciando che la discussione vertesse solo sulla dimensione economica. Che, infatti, lascia completamente aperto l'interrogativo sul "che fare ora", cui può dare una risposta solo un chiaro progetto politico.
Di fronte al totale disinteresse per il giornalismo e la satira (e di conseguenza per l'informazione, la cultura, la civilta' del paese), la mente fugge con la fantasia in possibili realta' alternative, universi paralleli dove si puo' cambiare il finale della storia. 
 
Se in uno di questi universi avessimo i metodi "dialettici" del '77 aggiornati alle nuove tecnologie, dei cyber-katanga farebbero irruzione nel palazzo del partito, prenderebbero per il bavero il compagno Ferrero, si farebbero dare tutte le password e continuerebbero le pubblicazioni della testata in autogestione con una "occupazione virtuale" del sito. Ma ormai siamo nel terzo millennio, e non possiamo fare altro che assistere alla morte annunciata di una testata che un tempo raccoglieva nobili lettori attorno a nobili ideali, per poi essere svuotata di senso e di risorse da una ignobile dirigenza politica.
 
Il "compagno" Ferrero ha avuto comportamenti antisindacali (gia' evidenziati a tempo debito, quando delegittimava un Comitato di Redazione eletto col 73% dei consensi), non ha saputo valorizzare una risorsa preziosa come l'identita' di un quotidiano, ha legato le mani a chi voleva ragionare su un serio piano industriale, e' riuscito a fare perdite anche con copiosi finanziamenti a fondo perduto, e in tutto questo mi ha fatto qualcosa che non gli perdonero' mai: FARMI RIVALUTARE IL CAPITALISMO e l'efficienza aziendale, che avrebbero potuto aiutare questo quotidiano piu' della cialtroneria improvvisata con cui e' stato mandato avanti sotto il profilo editoriale, aziendale e imprenditoriale.
 
A piu' di cinque anni di distanza da quella torrida estate del 2008 dove le nostre speranze di satiri si scontrarono contro la burocrazia di un partito perfino piu' tafazziano del PD (e ce ne vuole), la nostra rivista Mamma! e' ancora alive and kicking, alla faccia dei compagni che nel 2008 ci hanno proposto il loro rivoluzionario "o lavorate gratis o si chiude l'inserto" quando riempivamo la pagina satirica di quel quotidiano. Noi abbiamo scelto di lavorare gratis solo per noi stessi, e alla fine siete voi che avete chiuso, mentre quell'inserto ha proseguito il suo percorso trasformandosi nella prima rivista mondiale centrata sul giornalismo a fumetti. Hasta la lettura, siempre!
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