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12 febbraio 2011 - Carlo Gubitosa

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Giornalisti e deontologia

Travaglio e il "conflitto di interessi affettivo" con Grillo

La trascrizione di una "chiacchierata" condizionata da un "pregiudizio positivo" e' ancora giornalismo? Non e' questo quello che si insegna in universita'.
21 giugno 2012 - Carlo Gubitosa

PREMESSA

Questo e' un articolo LUNGO (15 mila battute, una decina di minuti). Abbi pazienza, prenditi qualcosa da bere, metti in sottofondo della musica che ti piace e poi tuffati nella lettura. Per testi piu' brevi, puoi andare su Twitter o Tumblr.

Marco Travaglio e Beppe Grillo

Marco Travaglio e Beppe Grillo sono persone stimabili, ma questo non mi impedisce di esercitare nei loro confronti quel pensiero critico che cerco di applicare tanto ai ragionamenti altrui quanto ai miei.  Nessuno dei due e' un mio amico personale, e questo mi facilita le cose nel parlare di loro, perche' se l'oggetto delle mie osservazioni fosse stato un amico probabilmente avrei lasciato correre le considerazioni che sto per fare. In fin dei conti, come diceva Baldan Bembo nella sua famosa canzone, l'amico e' quello che "ha il gusto amaro della verita', ma sa nasconderla, e per difenderti, un vero amico anche bugiardo e'".

In questo caso particolare, non si tratta nemmeno di bugie, ma di semplici e umane omissioni. Come quelle rilevate dal blogger Fabio Chiusi, che sul suo blog "Il Nichilista" ha fatto un elenco dettagliato delle "domande mancanti" nell'intervista fatta a Grillo da Travaglio il 13 giugno scorso.

Il nodo della critica di Chiusi e' che dal vicedirettore del quotidiano indipendente piu' letto d'italia si sarebbe aspettato domande piu' spinose e graffianti nell'intervistare il leader di un movimento politico che sembra destinato a diventare il primo partito d'Italia.

Travaglio ha risposto alle critiche sul presunto "eccesso di morbidezza" di quell'intervista, spiegando che dal suo punto di vista non si trattava di una intervista in senso stretto, ma di una informale "chiacchierata con Grillo" trascritta per abitudine durante un invito a cena, una chiacchierata di cui si e' decisa la pubblicazione solo in un secondo tempo dopo aver valutato l'interesse pubblico delle questioni sollevate da Grillo. Ecco la ricostruzione di Travaglio (i grassetti sono miei):
Grillo e io abbiamo conversato in casa sua per tre ore, alla presenza della sua famiglia. Gli ho chiesto molte cose, altre le ha chieste lui a me. Io, per deformazione professionale, prendevo appunti, ma senza sapere se alla fine ne sarebbe uscito qualcosa di interessante per i lettori. Non gli ho chiesto alcuna autorizzazione di pubblicare qualcosa, né lui mi ha chiesto se l’avrei fatto. Uscito da casa sua, rileggendo gli appunti, mi sono domandato se quel che mi aveva detto fosse o meno interessante per i lettori. Mi sono risposto di sì, accidenti: emergeva un Grillo nuovo, inedito, riflessivo, addirittura preoccupato per il successo tumultuoso del suo movimento e per lo sfarinamento troppo rapido dei partiti. Un Grillo anche si pone degli interrogativi e non a tutti riesce a rispondere dinanzi a fatti che stanno diventando più grandi di lui. Magari qualcuno avrebbe preferito che mi tenessi tutto per me. Ma siccome l’unico faro della mia attività di giornalista è "la notizia", cioè quel che può interessare ai lettori e che io, con i miei occhi e i miei orecchi, riesco a captare, ho deciso di pubblicare tutto: appunto per mettere a disposizione dei lettori ciò che avevo visto e sentito.
Travaglio aggiunge che in quella chiacchierata ha giocato un ruolo anche il "mio pregiudizio positivo (una sorta di conflitto d’interessi affettivo) nei confronti di un personaggio che - mia personalissima opinione - dà alla politica un contributo di generosità, portando nelle istituzioni centinaia di giovani impegnati e alle urne centinaia di migliaia di cittadini che altrimenti si rifugerebbero nell’astensionismo, nel qualunquismo, o peggio ancora - come in altri paesi d’Europa - nel neonazismo". 

A questa affermazione va aggiunta quella di un altro corsivo, dove Travaglio ha sostenuto che "la cattiveria di un’intervista è direttamente proporzionale alla negatività del personaggio intervistato". Una frase che ha fatto storcere il naso al bravo giornalista Mazzetta, al secolo Massimo Mazza, che ha contestato Travaglio ancora piu' duramente di Chiusi.

Preso atto delle differenti prospettive, per me la questione non e' decidere chi ha ragione tra Chiusi, Travaglio o Mazzetta: al posto di Travaglio ognuno di noi avrebbe avuto le proprie personali ragioni per fare delle domande differenti, soprattutto se il ruolo ricoperto fosse stato quello impegnativo del giornalista/intervistatore e non quello piu' rilassato di un amico da salotto che per un attimo ha dismesso l'abito de cane da guardia dei potenti. (E meno male, aggiungerei, perche' se Travaglio cominciasse a fare indagini e inchieste anche fuori dall'orario di lavoro, bombardando di domande scomode anche amici di vecchia data e parenti stretti, saremmo piu' vicini alla paranoia da non augurare a nessuno che al rigore giornalistico da richiedere ai cronisti).

Io non faccio parte delle amicizie personali di Grillo, nel suo salotto non ci sono mai entrato, men che meno come ospite per un invito a cena, e se ci fossi entrato gli avrei chiesto da giornalista come mai a Bologna tre bravissimi consiglieri comunali a cinque stelle hanno fatto dimettere un capogabinetto del sindaco perche' non aveva la laurea prevista dalla legge come requisito per ricoprire quell'incarico, ma al tempo stesso il programma nazionale del Movimento Cinque Stelle prevede l'abolizione del valore legale del titolo di studio, e per una inquietante coincidenza questo stesso obiettivo era contenuto nel famoso "Piano di Rinascita democratica" della loggia massonica eversiva P2 guidata da Licio Gelli.
 
In questi tempi di crisi, non va sottovalutato il contributo all'economia dato dal business dei "viaggi di studio" padani in Albania, che diventerebbe inutile se le lauree perdessero il loro valore legale, se anche l'infermiere potesse fare il chirurgo senza l'impiccio dei "pezzi di carta", se ogni scuola privata (compresa quella della moglie di Bossi finanziata con la "legge mancia") potesse sfornare titoli di studio il cui valore sul mercato dipende dal prestigio, dai finanziamenti e dal marketing di quella scuola, e se anche un diplomato in ottica potesse fare il capogabinetto di un grande comune come Bologna, cosa che per il momento e' stata impedita dal "fiato sul collo" dei consiglieri comunali "a cinque stelle".

Nella tecnica dell'intervista conta molto anche la "seconda domanda", preparata immaginando le possibili risposte dell'interlocutore. E la mia seconda domanda sarebbe stata "quali sono i processi di partecipazione democratica che il movimento Cinque Stelle adotta per migliorare e costruire il suo programma politico grazie al contributo di tutti i suoi aderenti?", immaginando che la risposta alla prima domanda avrebbe potuto essere "il programma si puo' sempre cambiare, e il nostro e' diverso da quello dei vecchi partiti perche' e' stato costruito in rete".

Ma il punto non e' valutare le mie domande in rapporto a quelle di Chiusi o Travaglio per decidere chi e' piu' giornalista dei tre. Ragionando sulla "chiacchierata" tra due tra gli uomini piu' influenti della politica e dell'informazione italiana, il gioco che mi interessa di piu' non e' la gara a chi fa le domande piu' scomode: su quel fronte ovviamente non c'e' partita, visto che Travaglio per sua stessa ammissione non e' andato li' con la matita affilata, come e' giusto che sia quando si va in casa di amici.

Al di la' dell'esercizio di fantasia nell'immaginare possibili domande al leader del piu' forte movimento politico del momento, quello che mi interessa e' capire se la visione della deontologia professionale che emerge tra le righe nelle posizioni espresse da Travaglio coincide con quella che viene insegnata nelle universita', e piu' precisamente nel corso di Comunicazione Giornalistica della laurea Triennale in Scienze della Comunicazione a Bologna, dove collaboro ormai da molti anni con il professor Mauro Sarti come membro della Commissione d'Esame.

E dopo averci pensato a lungo, sono arrivato alla conclusione che la risposta e' no. La deontologia di Travaglio e' diversa da quella che si insegna in universita' come espressione dello stato dell'arte della professione giornalistica. Agli studenti viene spiegato che se un giornalista viene mandato a intervistare una persona che scopre essere amico, un parente, un ex collega o una persona con cui ha a qualunque titolo un "conflitto di interessi affettivo", deve richiedere al direttore che quell'incarico sia affidato ad altro giornalista che possa garantire il distacco, la terzieta' e l'imparzialita' necessari per mettere quel personaggio pubblico davanti alle contraddizioni di cui l'opinione pubblica vorrebbe chiedergli conto. Anche se si tratta di contraddizioni minime, non penalmente rilevanti e tali da non togliere nulla al valore dell'intervistato, sono comunque meritevoli di entrare nel dibattito pubblico.

Quanto alla "cattiveria proporzionale alla negativita'", il ruolo che la deontologia professionale affida al giornalismo non e' quello di "nemica dei poteri cattivi", ma quello di interlocutore critico e attento dei poteri di qualunque tipo, buoni o cattivi, positivi o negativi, corrotti o illuminati che siano. Dire che "la cattiveria di un’intervista è direttamente proporzionale alla negatività del personaggio intervistato" equivale a sostenere che gli uomini di potere onesti, "positivi", non oggetto di indagini giudiziarie, stimati dall'opinione pubblica e animati di buone intenzioni possono essere sottoposti dalla stampa ad un controllo piu' blando di quello riservato a chi si e' costruito la fama di "cattivo". Ma se i "poteri buoni" non sono controllati, chi ci garantisce che proprio quell'omesso controllo non li spinga verso il "lato oscuro"?

Giudicare i poteri meritevoli di "interviste cattive" come punizione per la loro negativita' non e' quello che si insegna a lezione quando si parla di deontologia, attribuendo alla stampa il ruolo di "cane da guardia del potere". E il cane da guardia deve abbaiare sempre, non solo quando si avvicinano alla casa i ladri con cattive intenzioni, ma anche quando si avvicinano per casualita' figure "positive" come il postino o un passante capitato li' per caso. Piu' si espande la sfera di influenza di un politico o di un personaggio pubblico, piu' la sfera del giornalismo deve allargare a sua volta il raggio della sua azione verso quel personaggio, per controbilanciare quel potere in crescita collocandolo nella "casa di vetro" della sfera pubblica.

Travaglio ha spiegato anche che il tono della sua chiacchierata con Grillo non e' stato particolarmente accanito poiche' "al momento, non mi risulta che Grillo abbia avuto rapporti con la mafia, preso tangenti, fatto leggi vergogna, abusato del suo potere", ma questo insieme di attivita' non esaurisce tutto quello che un giornalista puo' e deve ritenere di pubblico interesse, perche' i fatti che meritano di essere elevati al rango di notizia non sono solo quelli di natura criminosa.

Tra i concetti chiave del corso di Comunicazione Giornalistica c'e' quello dei "valori notizia", i criteri non scritti della professione in base al quale si filtrano i mille avvenimenti del giorno soppesandone la "notiziabilita'" in base a vari parametri: novita', vicinanza, dimensione dell'evento, comunicabilita', drammaticita', conflittualita', conseguenze pratiche, human interest, idea di progresso, prestigio sociale.

Dal punto di vista della notiziabilita' cosi' come e' intesa dalla teoria giornalistica, il "succo" di una intervista non e' soltanto il "presentare il conto" ad un personaggio pubblico "negativo" per le sue malefatte vere o presunte, ma anche il far emergere dal confronto tra il personaggio e il giornalista degli elementi critici, contraddizioni e nodi di conflittualita' da cui nessun essere umano o movimento politico e' immune, ragionare sulle possibili conseguenze pratiche del programma di un movimento, esplicitare l'idea di progresso culturale e sociale che guida le scelte umane e politiche dell'intervistato, e ogni altro "valore notizia" che possa far sentire il lettore (che non puo' porgere domande a Grillo quando e come gli pare) rappresentato dal giornalista che puo' accedere liberamente a quel personaggio pubblico in virtu' del ruolo che gli viene riconosciuto socialmente, o in virtu' della propria personale amicizia con l'interlocutore cosi' come e' avvenuto in questo caso.

In sintesi, come spesso accade in questi casi, mi trovo in solitario disaccordo sia con quelli che avrebbero voluto vedere Grillo "massacrato" dalle domande di Travaglio, sia con lo stesso Travaglio quando fa capire che puo' considerarsi giornalismo a tutti gli effetti anche la trascrizione di una chiacchierata con un amico di vecchia data viziata da un dichiarato "conflitto di interessi affettivo".

Per me il giornalismo non e' uno spietato interrogatorio di terzo grado fatto ai potenti, e neppure la cronaca bonaria di interessanti conversazioni. Lo considero una applicazione della curiosita' umana ai fatti della vita, per trasformare gli accadimenti in notizie seguendo specifiche tecniche professionali e prescrizioni deontologiche, producendo un "quarto potere" indispensabile per controbilanciare gli altri poteri della sfera pubblica, buoni o cattivi che siano, e prevenire in questo modo le derive autoritarie e le degenerazioni che colpiscono qualunque tipo di potere quando e' sottratto ad ogni controllo.

 

Logo ASNE

In questa visione trovo conforto nello "Statement of principles" della American Society of Newspapers Editors, ovvero la dichiarazione di principi dell'associazione statunitense dei direttori di quotidiani, fondata nel 1922. Da noi ogni direttore puo' interpretare a modo suo la professione giornalistica, e sta ai lettori decidere se nelle edicole va premiata la visione del giornalismo di Antonio Padellaro, Ezio Mauro o Vittorio Feltri.

Ma negli Stati Uniti non si fanno le cose all'italiana, e chi dirige un quotidiano e' tenuto a sapere che in base allo "Statement of principles" della ASNE "la stampa statunitense e' stata resa libera non solo per informare o per servire come spazio pubblico di dibattito, ma anche per esercitare un controllo indipendente sulle forze al potere nella societa', tra cui i poteri istituzionali ad ogni livello".

Tutto cio' premesso, sperando di aver chiarito a sufficienza le posizioni di Travaglio, quelle di chi lo ha criticato, e quelle del sottoscritto, rivolgo un accorato appello ai miei amici di vecchia data: se deciderete di fondare un movimento politico non invitatemi a cena per parlare di politica. Ma se proprio insistete a farlo, datemi il cucchiaio di legno sulle nocche appena tirero' fuori il mio taccuino durante gli antipasti, col rischio che si macchi di unto. E poi se volete capire veramente dove state sbagliando, sceglietevi nella stampa degli interlocutori onesti e inflessibili, non gente come me che pur essendo onesta vi vuol bene a prescindere e tende a ridimensionare i vostri errori.

Ai giornalisti, invece, chiedo che controllino al meglio delle loro possibilita' i poteri e le forze sociali che condizionano la vita pubblica, ma sempre restandone estranei, per rivolgere domande scomode e intelligenti a gente con cui non hanno nemmeno preso un caffe' al bar, e chiedo anche che chiamino qualcun altro a rimpiazzarli se c'e' da controllare amici, parenti, benefattori o soci in affari verso i quali si nutre un "pregiudizio positivo", come prevede quella deontologia professionale che nelle universita' qualcuno si ostina a voler insegnare.
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